Essere pazienti non significa diventare apatici, ma trovare il modo per accettare i limiti, superarli e ricominciare da capo.
Per praticare arti marziali bisogna avere molta pazienza.
La pazienza va coltivata al pari della tecnica. Essere pazienti non significa diventare apatici, ma trovare il modo per accettare i limiti, superarli e ricominciare da capo.
Pratico karate da molti anni e spesso alla fine di un allenamento mi sento afflitta per non essere riuscita a fare bene qualcosa. Chi cerca una perfezione spesso scopre di esserne lontano anni luce e la distanza crea motivazione almeno quanto genera frustrazione. Proprio per questo la pazienza è necessaria. Nella pazienza può fiorire la lucidità per costruire la giusta prospettiva e lavorare per il futuro.
A essere del tutto zen, in realtà, il futuro non dovrebbe esistere. C’è solo una Via ed è oggi, nel momento. Ecco quindi che la pazienza non è più una perdita di tempo, ma è la struttura sulla quale rifiniamo noi stessi, imparando a conoscerci in relazione all’arte marziale e agli altri.
La pazienza non è più una perdita di tempo, ma è la struttura sulla quale rifiniamo noi stessi.
Nella pazienza può fiorire la strategia di combattimento, nella misura in cui siamo in grado di vedere in modo chiaro cosa stiamo facendo e come il nostro avversario reagisce alla nostra azione. Una mente agitata non potrà avvalersi di una strategia, ma sarà guidata da un istinto che potrebbe diventare controproducente.
Il Maestro Shirai spesso ripete che non ha senso eseguire una tecnica se prima non la si è capita, visualizzata, interpretata; tant’è che invita a stare fermi e a guardare, piuttosto che agire in modo scomposto. Una volta il Maestro disse che il “karate non è tecnica” ed è un’affermazione che porto con me sempre. È quasi paradossale detto da lui, che in quanto a precisione stilistica non transige, eppure, la dice lunga sul senso del karate che ci insegna.
C’è molta sostanza nel karate-do e per capire dove questa strada porti, bisogna avere enorme pazienza, ricordarsi di essere riconoscenti verso i Maestri, dimenticare l’invidia, comprendere che la competizione è uno strumento di crescita e non un fine.
La pazienza è terreno fertile di perseveranza e non è necessariamente passiva, anzi, può diventare un’attività costante di revisione, riassetto, verifica, miglioramento. La Via del perfezionamento di sé non sarà percorribile se non esiste una radice di pazienza che accompagni le nostre motivazioni.
Con la pazienza si può dare vita alla meditazione, trovare il tempo di stare seduti a occhi chiusi in ascolto di se stessi, ridurre le ansie, moltiplicare le energie.
Mi hanno chiesto se è vero che un principiante di karate deve ripetere sempre gli stessi esercizi per il primo anno di pratica. Quando ho risposto che la ripetizione è necessaria per tutta la vita, ho probabilmente perso un potenziale collega di allenamento, ma questa è una verità, se si vuole tendere verso la perfezione, se si vuole migliorare sempre, invece che fare passi indietro. Anche per questo nel karate servono pazienza, perseveranza, resilienza.
Essere pazienti significa trovare il modo per fare il proprio massimo.
La resilienza è la capacità di un materiale di assorbire un urto, ma è intesa anche come capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
In ecologia, la resilienza è la velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato (Vocabolario Treccani). In questo ritorno allo stato iniziale non c’è forse l’infinita pazienza della natura nel ristabilire gli equilibri? Non è forse la pazienza il motore di tutte le attività complesse, difficili, lunghe, faticose? In un mondo che cambia, che si evolve radicandosi su certezze sempre più fragili, la pazienza dovrebbe essere rivalutata, insegnata, spogliata di quel velo negativo che le si attribuisce, come se essere pazienti significasse essere inattivi, svogliati, immobili. No, essere pazienti significa coltivare un modo di fare che ispira gentilezza, verso gli altri, verso se stessi, verso i limiti, verso le cose che richiedono tempo, cura, amore. Essere pazienti significa trovare il modo per fare il proprio massimo.
Nel karate, essere pazienti si trasforma in allenamento costante, accurato, in ascolto, in ricezione di informazioni, applicazione veloce delle correzioni.
Recentemente, durante un allenamento a Ferrara, il Maestro Shirai ha invitato tutti a praticare con la massima attenzione e con la massima forza possibile, perché il karate deve essere studiato sempre dando il meglio che possiamo, e ogni volta che si ripete una tecnica è necessario fare meglio della volta precedente.
Una mente paziente sarà capace di riconoscere per cosa vale la pena preoccuparsi; una mente agitata farà confusione.
“Il karate è oggi, qui. Domani è un’altra cosa” ha detto il Maestro, rappresentando in modo efficace una filosofia zen che forse dovremmo tutti abbracciare. In queste parole è esaltato il significato più reale del karate-do, che diventa strumento di vita e si fa portatore di un messaggio essenziale, quello del qui e ora. Oggi possiamo vivere a pieno le potenzialità della nostra esistenza; preoccuparci costantemente del futuro non serve, rimuginare sul passato – alla lunga – è un spreco di energie.
Sarebbe ideale imparare dagli errori e andare oltre gli errori stessi, e ricordare che dalle cose che ancora non sono successe non possiamo trarre alcun insegnamento, perché non esistono. Una mente paziente sarà capace di riconoscere per cosa vale la pena preoccuparsi; una mente agitata farà confusione. E questo accade anche durante la pratica, quando non siamo in grado di guidare il nostro corpo, quando non ricordiamo le sequenze, quando non finiamo una tecnica, perché stiamo già pensando alla successiva, quando ascoltiamo solo una parte di quello che c’è da sentire.
“Pensate come è torbida l’acqua in una pozzanghera fangosa. L’unico modo per vedere il fondo è aspettare che l’acqua si fermi e il fango si depositi. Analogamente, prima di riuscire ad applicare la presenza mentale alla quotidianità, è necessario lasciare che la mente si calmi”.
(Gyalwa Dokhampa, La Mente Tranquilla)
“Hai la pazienza di aspettare fino a che il fango si depositi e l’acqua sia chiara? Riesci a rimanere immobile fino a che la giusta azione non emergerà da sé?”
(Lao-tzu, Tao-tê-ching)