7-9 aprile 2017. Ancora temi interessanti per tutti i karateka al 4° Seminario Scientifico Fikta.
Fatica periferica e centrale
Al 4° Seminario Scientifico Fikta svoltosi a Milano, nel primo pomeriggio di venerdì 7 aprile la lezione del Prof. Emiliano Cè si è focalizzata sugli aspetti riguardanti l’affaticamento e la fatica cronica.
A partire dai concetti che definiscono la fatica muscolare e la fatica neuromuscolare ci si chiede: cosa vuol dire da un punto di vista fisiologico il termine fatica e come si fa a definire?
- Per fatica muscolare s’intende quel processo che porta alla diminuzione della performance indotta da una certa attività, quindi, si ha fatica quando si ha, in termini molto generici, una riduzione di forza, nonché di potenza muscolare.
- Nella fatica neuromuscolare possiamo dire che non c’è un decadimento della forza, in quanto essa va a essere mantenuta costante fino al cedimento. A tal proposito sono stati approfonditi i concetti che riguardano la “fatica di tipo centrale” e quella di “tipo periferico”.
Un soggetto allenato presenta una frequenza cardiaca più bassa, dovuta dalla capacità del cuore di pompare una maggiore quantità di sangue fuori dai ventricoli.
Sorvolando gli aspetti scientifici legati alle differenze che contraddistinguono le 2 tipologie di fatica, risulta interessante evidenziare come s’innescano, in certe situazioni di affaticamento, una serie di cambiamenti elettrochimici che portano a una “riduzione delle unità motorie reclutabili” (dove l’unità motoria è costituita da un motoneurone e da tutte le fibre muscolari da esso innervate) determinando, in termini pratici, un reclutamento di fibre che si sposano meglio con un ambiente variato all’interno dell’organismo, con un utilizzo di fibre lente ovvero quelle di tipo 1 (capaci di sopportare meglio la fatica), anziché di fibre veloci dette anche di tipo 2 (potenti, ma sensibili alla fatica). La fatica di tipo centrale può portare a perdita di coordinazione e incremento di movimenti correttivi. Con la riduzione della performance si ha un ulteriore decremento nel reclutamento delle unità motorie che interessano un distretto muscolare e il conseguente utilizzo crescente di fibre tipo 1 (fibre rosse/lente).
Con il prof. Ferioli sono stati trattati gli aspetti determinanti che incidono sulla performance del soggetto. A tal proposito il programma ha riguardato le “determinanti fisiche e fisiologiche”, il Balance Training e il Core Functional Training.
Per quanto riguarda le determinanti fisiche, in linea di massima sarebbe opportuno che la massa grassa fosse piuttosto bassa, ma senza scendere al di sotto della percentuale minima necessaria per garantire uno stato di buona salute (grasso essenziale). Alcuni studi hanno evidenziato che le percentuali di massa grassa presenti nei karateka va dal 7,5% al 16,8%. Risulta essere un range piuttosto ampio, ma si è comunque notato che è possibile competere ad alto livello anche con percentuali più prossime ai valori alti, anche se rimane comunque valido il concetto secondo cui le prestazioni aumentano con valori più bassi di massa grassa.
- Altro aspetto importante è quello legato alla capacità aerobica la quale, se potenziata, consente di prevenire l’insorgenza della fatica durante l’allenamento, ma anche di migliorare e ridurre i tempi di recupero nelle pause di un combattimento.
- Per quanto riguarda i sistemi anaerobici è importante osservare come nel Karate e in particolar modo nel kumite questi meccanismi svolgano un ruolo importante. Le “azioni decisive” nella nostra disciplina dipendono appunto da questi ultimi meccanismi che sono caratterizzati da attività di breve durata, ma ad alta intensità di lavoro.
L’importanza legata alle caratteristiche di flessibilità e tempo di reazione sono stati i temi che hanno concluso l’argomento sulle determinanti fisiche e fisiologiche nel Karate.
Molti aspetti teorici e pratici sono stati considerati nell’ambito del Balance Training (Allenamento dell’equilibrio) e del Core Functional Training, il cui obiettivo è insegnare ad eseguire in modo efficace e controllato il movimento del proprio corpo su tutti i piani e si prefigge il controllo motorio, la stabilità dinamica, il rinforzo muscolare e il controllo neuromuscolare.
Fisiologia del sistema cardiovascolare
Gli aspetti legati al sistema cardiovascolare, trattati nel pomeriggio dalla Prof.ssa Bisconti, sono stati molteplici e abbastanza complessi, ma non possono essere sottovalutati né totalmente ignorati. Interessante l’argomento relativo alla gittata sistolica (GS) che rappresenta il volume di sangue che ogni ventricolo espelle da ogni sistole e la gittata cardiaca (GC), che rappresenta il volume di sangue espulso da un ventricolo durante un minuto. Essa può aumentare di molto sotto sforzo e tale incremento segue la regola secondo la quale G.C. = G.S. x F.C. (Frequenza Cardiaca). La gittata cardiaca varia in base alle esigenze dell’organismo, in funzione cioè delle richieste di ossigeno dell’organismo. Da tale formula deriva che un aumento della gittata cardiaca può essere ottenuta aumentando la gittata sistolica, aumentando la frequenza cardiaca oppure incrementando entrambe. Ciò significa che a parità di G.C. una minore F.C. può essere compensata da una maggiore G.S.
Particolarmente interessante la possibilità di modificare la composizione delle fibre muscolari attraverso l’allenamento.
Questo ci fa comprendere le differenze che caratterizzano un soggetto sedentario rispetto a un soggetto atletico.
Per esempio, in condizione di riposo in cui la gittata cardiaca è circa 5 L/min. (di sangue), considerando che in un soggetto sedentario la G.S. è di 71ml (al battito), mentre per un atleta fondista di buon livello per via del cuore più grande la G.S. è 100ml (al battito), si ha (considerando la formula G.C.=G.S. x F.C.) che la frequenza cardiaca per un soggetto sedentario sarà di circa 70 bpm, infatti (71×70=4970ml); mentre per un soggetto atleta fondista considerando che la G.S. è circa 100ml (al battito) si avrà, a riposo, una frequenza cardiaca più bassa, ovvero di circa 50 bpm infatti (50×100=5000ml). Questo ci permette di evidenziare il motivo per cui “un soggetto allenato presenta una frequenza cardiaca più bassa, dovuta dalla capacità del cuore di pompare una maggiore quantità di sangue fuori dai ventricoli”.
La frequenza cardiaca è una funzione vitale, insieme alla temperatura corporea, alla pressione sanguigna e al ritmo respiratorio; essa è molto variabile durante la giornata e dipende da diversi fattori: ambientali (temperatura e umidità), altitudine, alimentazione, stato di salute ecc. Nell’ambito di alcuni esperimenti sui Karateka sono stati presi atleti di basso livello e atleti di alto livello ai quali è stato chiesto di sferrare 1000 pugni e 1000 calci; si è notato che la frequenza cardiaca degli atleti di alto livello era più bassa dopo lo sforzo, a parità di consumo di ossigeno.
La potenza muscolare
Il concetto di potenza e il ruolo che svolge nell’ambito di uno sport da combattimento come il Karate rappresentano il pilastro sul quale deve essere improntato un allenamento in cui sono fondamentali forza, ma anche velocità di esecuzione, oltre che coordinazione ed equilibrio.
La potenza è data dalla formula P=FxV (forza x velocità) e dipende da diversi fattori:
- meccanica muscolare (come il sistema articolare muscolare si muove)
- fattori morfologici (la forma e come sono strutturati i capi articolari, i muscoli e i tendini)
- fattori neurali (controllo da parte del sistema nervoso)
- ambiente muscolare (condizione di affaticamento e tipo di allenamento svolto, tecniche eseguite ecc.).
Nell’ambito dei “fattori morfologici” sappiamo che il nostro organismo possiede diverse tipologie di fibre muscolari e, in particolar modo, si distinguono in
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- fibre di tipo I (lente o rosse),
- fibre di tipo IIb (bianche o rapide),
- fibre di tipo IIa (intermedie tra le bianche e le rosse).
Particolarmente interessante la possibilità di modificare la composizione delle fibre muscolari attraverso l’allenamento, soprattutto attraverso azioni specifiche che agiscono sulle “fibre di tipo intermedio”. Questo significa che tramite un lavoro con sovraccarichi e, quindi, di potenza, posso trasformare le fibre intermedie in tipo I (rosse/lente). Sembrerebbe una contraddizione, ma in effetti non lo è, in quanto l’aumento di potenza e di massa muscolare determina un incremento di forza che va a compensare il reclutamento di fibre lente.
Vari studi hanno altresì evidenziato che una mancanza di allenamento come quello che si verifica con un infortunio, determina il reclutamento di fibre bianche (veloci). Anche questa sembrerebbe una contraddizione, ma se pensiamo che una mancanza di allenamento non consente di stimolare opportunamente l’organismo, determinando una riduzione sensibile di fattori importanti come la capacità di equilibrio, di coordinazione, capacità di resistenza e tutti quei miglioranti cardiovascolari indotti dall’allenamento, ci rendiamo conto che alla fine l’allenamento risulta comunque sempre vantaggioso.
La potenza muscolare ha un ruolo importante in quanto una potenza esplosiva permette di ottenere forza in breve tempo, consentendo azioni veloci e potenti. Il lavoro con sovraccarichi ha una sua specificità e importanza in quanto riesce ad attivare distretti muscolari che hanno una soglia di attivazione più alta, infatti ci sono unità motorie che per essere reclutate necessitano di maggiore energia. Attraverso un lavoro eccentrico è possibile, invece, indurre modifiche morfologiche che determinano un incremento della lunghezza del muscolo. Però un eccessivo allungamento, come quello che avviene con l’attività di stretching, porta a un’evidente riduzione di forza.
Alimentazione e attività sportiva
Conoscere le caratteristiche tecniche di una pratica sportiva, le metodologie di allenamento, le modificazioni fisiche e cardiovascolari, gli effetti ipertrofici e catabolici indotti dall’allenamento, sono fattori che devono essere tenuti ben presenti affinché l’attività svolta vada nella direzione delle aspettative prefissate e non arrechi danni alla salute. Ci sono aspetti che necessitano di conoscenze specifiche che non rientrano nella piena competenza di un allenatore, ma saper valutare i possibili effetti sull’organismo quando viene sottoposto a uno stimolo esterno, risulta utile e di primaria importanza per chi riveste il delicato compito di insegnare.
Una parte specifica e fondamentale in ambito sportivo, di pari importanza a quello dell’allenamento, è quella dell’alimentazione.
La dieta ha un ruolo importante nello sport, pur non esistendo alimenti miracolosi in grado da soli di migliorare le prestazioni fisiche, si può affermare che, associata a un allenamento adeguato, consente il massimo rendimento sia nell’attività sportiva amatoriale sia agonistica.
Pasto pre-gara e razione post-gara
L’alimentazione che precede l’impegno sportivo è fortemente influenzata dalle caratteristiche dell’attività o competizione da svolgere. L’obiettivo principale che ci si prefigge con l’alimentazione è quello di aumentare quanto più possibile la concentrazione muscolare ed epatica di glicogeno fornendo all’atleta elevati apporti glucidici che verranno utilizzati in allenamento o in gara.
Altro elemento da non sottovalutare è quello legato all’assunzione delle proteine che tende a essere sottodimensionata dai soggetti che praticano tanta attività fisica. L’apporto di proteine può passare da 1,4 grammi per Kg di peso per un soggetto normale, fino ad arrivare a 2 grammi per Kg per chi fa pratica sportiva intensa. Diversi studi nel settore della nutrizione sportiva, affermano che l’incremento delle proteine nell’alimentazione, se ben gestito non è pericoloso per i reni.
L’obiettivo principale che ci si prefigge con l’alimentazione è quello di aumentare quanto più possibile la concentrazione muscolare ed epatica di glicogeno.
L’alimentazione riguarda anche la giusta assunzione di acqua per evitare i pericolosi fenomeni di disidratazione dovuti a eccessiva sudorazione. In caso di carenze morbose di acqua presente nell’organismo la disidratazione da extracellulare può diventare intracellulare compromettendo il normale svolgimento dei processi metabolici delle cellule. La prevenzione riveste un ruolo importante per cui è consigliabile ridurre l’eccesso di sodio nell’alimentazione prima della gara per ridurre la ritenzione idrica.
Le regole generali di un pasto pre-gara che necessita di un impegno non superiore a 40 minuti:
- non necessita di un elevata quantità di carboidrati, soprattutto se nei giorni precedenti si è provveduto a un giusto apporto energetico
- il pasto deve essere povero di fibre alimentari grezze insolubili (accelerano la motilità intestinale) e consumato 3-4 ore prima dell’inizio della gara
- consigliabile consumare pasti con indice glicemico moderato, come la pasta di grano duro, in grado di fornire elevata quantità di glucosio senza tuttavia produrre brusche variazioni della glicemia/insulinemia. È meglio se le cottura della pasta è “al dente”, in quanto ha un indice glicemico più basso.
Il più importante problema metabolico nella fase di recupero dopo uno sforzo fisico è rappresentato dalla “risintesi del glicogeno muscolare” e delle “riserve glucidiche”, costituendo, insieme alla reidratazione, alla correzione dell’acidosi metabolica e all’eliminazione delle scorie metaboliche prodotte, il principale obiettivo nutrizionale della fase post-gara.
Bisogna sempre considerare che non esistono alimenti particolari che migliorano la prestazione sportive, solo una corretta alimentazione è in grado di garantire la salute anche quando si è sottoposti a stress fisico.
Nutrizione e allenamento sono il binomio vincente per ottenere un corretto stile di vita e una performance ottimali in qualsiasi disciplina e attività sportiva.
Qui il resoconto degli altri incontri.