26.02.17 – Allo stage di Shotokan Tradizionale della RenBuKan Sacile (PN), abbiamo rivolto qualche domanda al M° Silvio Campari su alcuni temi d’attualità.
Di Maria Cristina Bernardi
Al termine dello stage di Shotokan Tradizionale svoltosi domenica mattina al Palamicheletto di Sacile (PN), il 26 febbraio, e organizzato dalla ASD Ren Bu Kan Sacile, abbiamo rivolto alcune domande al M° Silvio Campari, VI Dan e Allenatore della squadra nazionale FIKTA.
Buongiorno Maestro, ci dai qualche impressione sullo stage appena finito?
Direi che la giornata è iniziata bene, grazie anche a questo sole bellissimo e al cielo limpido che consente di vedere le montagne… per me che vengo da Milano è già positivo.
Per quanto riguarda la lezione sono molto contento, ho dedicato la prima ora alle cinture colorate e con i ragazzini ci siamo divertiti ha fare tecniche di kumite, con le proiezioni.
Nella seconda ora, per gli agonisti e i maestri, ho voluto fare un programma un po’ più tecnico, sugli spostamenti, e mi sembra ci sia stata una buona risposta, di energia e divertimento.
Per gli atleti, dal punto di vista psicologico è uno stimolo, ma anche una grossa responsabilità, perché nel proprio paese non ci si può permettere di andare via senza medaglie!
Approfittiamo anche per chiederti se vi siete già attivati rispetto ai Mondiali WSKA di settembre, che si svolgeranno qui vicino, a Treviso.
Sì, ci sto pensando praticamente sempre, perché è un evento di grande interesse per quanto riguarda la scuola del M° Hiroshi Shirai e per l’organizzazione che fa capo al M° Ofelio Michielan, reputo importante che un membro della nostra Federazione organizzi un mondiale ed è importante supportarlo con tutte le nostre forze.
Per quanto riguarda i ragazzi della squadra nazionale, io arrivo dal Campionato ESKA di novembre 2016 in Grecia e devo dire che gli atleti hanno risposto bene, sono stati contenti. Ora sono carichi, sentono la responsabilità, ma allo stesso tempo hanno voglia di fare un campionato del mondo qui in Italia ed è una delle cose più belle per loro.
Io stesso ho avuto la possibilità nel 2000 di farlo ed è stata per me una delle emozioni più belle che ricordo, di fronte a 14.000 persone, un palazzetto pieno! Anche nel ’94 ho partecipato, proprio a Treviso, a un altro mondiale e direi che non c’è nulla di più bello che avere l’occasione di farlo nella propria nazione.
Per gli atleti, dal punto di vista psicologico è uno stimolo, ma anche una grossa responsabilità, perché nel proprio paese non ci si può permettere di andare via senza medaglie!
Potremmo considerare questo evento anche un banco di prova per le future Olimpiadi?
Qui si tocca un tasto difficile, in quanto, come allenatore della Nazionale, risponderei subito “Sì, andiamo alle Olimpiadi!”, però sappiamo che non è così facile. Soprattutto, è ancora tutto molto precario, perché c’è un circuito pre-olimpico a cui gli atleti devono prendere parte. Poi, se non sbaglio, non si partecipa a squadre, ma a livello individuale, per cui un singolo atleta deve accumulare punti tramite il circuito olimpico, tramite la Premier League ecc., cose che hanno bisogno di consistenti finanziamenti, di grossi sponsor, che supportino l’atleta, più che la squadra o la federazione.
Stai facendo anche delle belle esperienze all’estero, che cosa porti, fuori dall’Italia, della FIKTA e dell’insegnamento del M° Shirai?
Sono diversi anni che vado all’estero come Summercamp in Germania, Francia, Ucraina, Portogallo ecc. e ogni quattro anni ho la fortuna di essere invitato in Giappone per fare un seminario, è una cosa a cui tengo molto.
In queste occasioni porto innanzitutto la tradizione del M° Shirai, che significa tecnica, rispetto, scuola, ma soprattutto l’umiltà che lui ha cercato di trasmetterci. Fondamentale è che ‘tradizione’ non si riferisce solo alla tecnica, ma in primo luogo all’impronta, all’immagine del Karate Tradizionale, quella che lui ha dato e impostato per i Maestri più vecchi e, di conseguenza, trasmessa alle nuove leve. Parlo di rispetto, di voglia di crescere, di emergere, ma anche la voglia di fare un karate che “diverta”, un karate “dinamico”, oltre la tecnica. Anche se si sa benissimo che la tecnica del M° Shirai è invidiata da tutto il mondo: in qualunque parte io mi trovi, quando parlo di lui parlo della tecnica pura, precisa, della sua potenza e della sua forza, ma questo non sta a me dirlo, perché è una cosa risaputa.
Infine, ciò che porto all’estero è umiltà e, al tempo stesso, voglia di fare karate. Ecco, personalmente cerco di fare arrivare quell’energia che il Maestro stesso mi trasmette sempre.
In queste occasioni porto innanzitutto la tradizione del M° Shirai, che significa tecnica, rispetto, scuola, ma soprattutto l’umiltà che lui ha cercato di trasmetterci.
Di contro, cosa “porti a casa” da questi incontri all’estero?
Sicuramente tanti kilometri! Ma, a parte gli scherzi, porto con me delle piacevoli esperienze, perché incontro delle belle persone, interessate al nostro karate e alla nostra pratica. D’altronde, indipendentemente da tutto, il karate italiano ha una bella storia e questo grazie ai nostri Maestri, come per esempio il M° Carlo Fugazza che va spesso in Germania, penso ormai da 30/35 anni, ed è apprezzato tantissimo. In qualsiasi posto io vada parlano bene di lui e ci tengo a dirlo, perché mi ha aiutato molto e spesso gli chiedo consiglio.
Insomma, torno a casa con l’idea che noi italiani facciamo sempre una buona impressione, riuscendo a portare quel calore e quella energia che ci contraddistinguono.