20-22 gennaio 2017 a Milano gli allievi partecipano al 2° Seminario Scientifico organizzato dalla FIKTA.
I seminari che si susseguono in questo corso Istruttori-Maestri organizzato dalla FIKTA, presentano contenuti di alto valore scientifico e fanno riflettere su come sia necessario conoscere tantissimi aspetti legati a un’attività motoria per cui un’adeguata abilitazione all’insegnamento, a prescindere dalla disciplina sportiva, non può essere acquisita attraverso corsi della durata di un weekend. A dare spessore a questi incontri contribuisce la presenza di docenti e ricercatori che con grande disponibilità e professionalità mettono a nostra disposizione il loro ineccepibile bagaglio culturale nonché importanti esperienze maturate sul campo.
L’allenamento viene considerato una forma di “stress” che provoca una reazione d’allarme a cui l’organismo risponde con dei cambiamenti.
2° Seminario di aggiornamento scientifico
Dopo una lunga pausa di circa quattro mesi, siamo nuovamente riuniti nell’Aula Magna “Miani” dell’Università degli studi di Milano – Dipartimento Scienze Biomediche per la salute. Apre l’incontro il prof. Antonio La Torre, professore di Scienze Motorie e Metodologia di allenamento. Allenatore del campione olimpico della ‘20 km’ di Atene 2004, Ivano Brugnetti, è un ricercatore apprezzato a livello internazionale e Consulente della Commissione Tecnica Esperti Preparazione Olimpica CONI. Gli argomenti trattati sono stati diversi e fondamentali per poter condurre adeguatamente “un allenamento che deve essere sapientemente e opportunamente programmato”.
L’allenamento “non deve mai essere improvvisato”
L’allenamento è un processo complesso che ha come obiettivo il miglioramento della performance sportiva. Gli aspetti:
- Fisiologici
- Biomeccanici
- Coordinativi
- Nervosi
Questi sono gli elementi che determinano la performance e lo scopo dell’allenamento è quello di modificare la reazione di risposta dell’organismo a un determinato stimolo allenante. L’allenamento viene considerato una forma di “stress” che provoca una reazione d’allarme a cui l’organismo risponde con dei cambiamenti. Per via di questi cambiamenti l’organismo deve riadattarsi, ma con il tempo il corpo impara a reagire in maniera specifica adattandosi sempre meglio a una certa sollecitazione fisica. L’atleta di alto livello vive in una condizione di continua cronicità in cui l’organismo, quando finalmente si è adattato, deve essere posto in una nuova situazione di stress affinché possa essere indotto un ulteriore miglioramento.
Allenare e osservare
Per allenare a una disciplina sportiva è indispensabile mettere insieme le conoscenze scientifiche e poi valutare quello che sperimentiamo in campo. Dobbiamo osservare i cambiamenti indotti dall’allenamento considerando che essi sono il risultato delle ripetizioni organizzate e strutturate di esercizi fisici, quindi, “ripetere e poi ripetere” per far adattare l’organismo. Per indurre un cambiamento ci vuole tempo e questo tempo interessa il singolo esercizio, una stessa seduta di allenamento, un ciclo più lungo di allenamento. Molto importante è osservare e capire la situazione di disagio che un atleta sta attraversando e un segnale evidente lo si ha, per esempio, con la pelle: brufoli, herpes ecc., sono indice di un disagio che manifesta stanchezza o abbassamento del sistema immunitario, tutti elementi che non vanno sottovalutati.
Il ruolo dell’allenatore
Il ruolo svolto da un allenatore, istruttore o maestro, è molto delicato e complesso, richiede esperienza sul campo supportata da fondamentali conoscenze scientifiche, nonché grande capacità di osservazione. Svolgere questo ruolo senza una buona base di competenze può provocare danni e portare il soggetto all’abbandono dell’attività. Il fenomeno dell’abbandono è molto presente nell’età che precede i 14 anni. Le cause possono essere varie, ma solitamente accade quando si punta esclusivamente al risultato. Solo dai 13-14 anni si comincia a prendere consapevolezza del tipo di sport per cui si è portati, quindi, è opportuno, prima di tale età, cercare di offrire stimoli diversi al soggetto e vederlo come un atleta, senza entrare nello specifico dello sport praticato. Con i giovani soggetti bisogna svolgere principalmente un lavoro di “cultura sportiva” e noi allenatori dobbiamo esclusivamente aiutarli a crescere nella consapevolezza che, fino a questa età, contano prima di tutto i propri genitori nonché il proprio ambiente famigliare. È nostra responsabilità creare “un ambiente sportivo focalizzato sul rispetto degli stadi di sviluppo”, non dimenticando altresì che l’allenamento deve essere sempre stimolante, diversificato e divertente!
Il testosterone come “punto di riferimento”
Un ruolo importante nella scelta del tipo di allenamento è legato alla produzione di testosterone che è il principale ormone maschile responsabile della disfunzione erettile (in caso di carenza) e il principale ormone della crescita muscolare insieme all’ormone GH. Dalla nascita fino all’età di 10 anni esso ha un valore basso, mentre aumenta rapidamente nell’adolescenza maschile tra i 10 e i 20 anni. È presente anche nelle donne che, rispetto agli uomini, hanno una maggiore tendenza a convertire quest’ormone in estrogeni.
Il testosterone fa sincronizzare più fibre nell’unità di tempo e se consideriamo che ha un’azione maggiormente ipertrofica (aumento del volume della cellula muscolare) ci rendiamo conto che allenare un soggetto giovanissimo allo sviluppo della forza è un grosso errore. Fino a circa 11 anni, ossia finché non arriva il periodo in cui il testosterone inizia la sua fase di massima produzione, non bisogna indirizzare l’allenamento allo sviluppo della forza, ma curare l’esecuzione dell’esercizio e puntare su esercizi per lo sviluppo del coordinamento. Nell’età pre-puberale (12-13 anni le donne e 14-15 anni gli uomini) è necessario creare attività motorie divertenti, a basso contenuto specifico, ed è molto importante osservare i ragazzi e le ragazze nel loro cambiamento e nel processo di crescita.
Allenare un soggetto giovanissimo allo sviluppo della forza è un grosso errore.
La 1ª regola fondamentale: il riscaldamento
L’ interessante argomento sul riscaldamento ha evidenziato come ci sia la tendenza a sottovalutare quest’attività, che spesso viene fatta male o completamente ignorata e perciò causa di numerosi infortuni. Allo scopo di evidenziarne gli effetti positivi sono stati fatti diversi esperimenti. In particolare sono stati messi in campo una serie di esercizi scelti ad hoc ed è stato notato che su 1000 ore di allenamento si sono verificati il 40% di infortuni in meno in chi faceva gli esercizi di riscaldamento proposti. In linea di massima, su 2 ore di allenamento fare 15’ di riscaldamento consentirà di guadagnare molto in efficienza nell’attività successiva, in quanto tale attività genera una serie di adattamenti corporei fondamentali per il lavoro successivo.
Stretching e performance muscolare
In che modo l’attività di stretching influenza una performance muscolare è stato il perno della lezione del Prof. Emiliano Cè nella giornata di sabato 22 gennaio. Oltre a illustrare le varie caratteristiche che riguardano le 2 metodiche principali che lo suddividono in “Stretching dinamico e Stretching statico”, ha tenuto degli esempi pratici per meglio comprenderne l’esecuzione. Rilevante la parte conclusiva in merito ai benefici e agli svantaggi che ritroviamo nell’applicazione delle due metodologie.
Perché fare stretching? Lo stretching è un attività che non va sottovalutata in quanto presenta diversi lati positivi:
- Aumenta il range di mobilità
- Diminuisce gli infortuni
- Migliora il recupero
- Migliora la performance del gesto atletico
- Evita l’insorgere dei dolori muscolari
Tutti questi benefici sono dibattuti, ma quello che è ben accettato da tutti è l’incremento della flessibilità. Dagli studi effettuati si evince comunque che lo stretching è importante e i suoi effetti vanno considerati per utilizzarlo adeguatamente e secondo determinate strategie, in base al tipo di allenamento che si dovrà eseguire successivamente. Per un soggetto rigido, comunque, è importante proporre esercizi di stretching, perché i miglioramenti che ne derivano sono sempre evidenti.
Domenica 22 gennaio
La giornata è stata condotta dalla prof.ssa Michela Turci che, oltre a trattare l’argomento relativo all’apparato locomotore ha coadiuvato la prof.ssa Merzagora, esperta in criminologia, la quale ha illustrato i diversi aspetti legati all’aggressività e al ruolo dello sport nel percorso di crescita, nonché i suoi effetti sullo sviluppo caratteriale di un individuo.
Sport e formazione
Diversi studi concordano sul fatto che lo sport contribuisca positivamente allo sviluppo della personalità e del carattere di un individuo, in particolare possiamo dire che.
- favorisce la socializzazione;
- soddisfa la necessità di riconoscimento e autostima;
- insegna la cooperazione;
- permette una competitività non violenta;
- insegna il fair play e a rispettare le regole.
Tutti aspetti degni di rispetto, ma gli stessi studi, indagando sulla relazione fra la pratica sportiva da un lato e l’aggressività dall’altra, non hanno evidenziato risultati univoci. Secondo alcuni studiosi gli sport molto competitivi sviluppano maggiore violenza e, in particolare, per quanto riguarda gli sport di squadra ci sono due versioni. Per alcuni, suscitano sentimenti ostili verso la squadra avversaria e sviluppano sentimenti di “nazionalismo”; per altri, gli sport di squadra contribuiscono alla cooperazione e allo spirito di gruppo.
Per quanto riguarda le arti marziali prevale un’opinione positiva in merito agli effetti indotti dalla pratica di queste discipline e in particolare si evidenzia un miglioramento per ciò che riguarda i processi di socializzazione, il rispetto delle regole, acquisizione di autocontrollo, incremento dell’autostima, diminuzione dell’ansia. In particolar modo si è notata una certa distinzione fra le diverse arti marziali e, per citare un esempio, si è fatto un confronto tra i praticanti di Judo e quelli di Karate dell’età di 8 anni. Si è constatato che i bambini che praticano Judo sono più aggressivi rispetto ai coetanei che praticano Karate, anche se le differenze si riducono sensibilmente dopo diversi anni di pratica e dal tipo di allenamento svolto, quindi, è da sottolineare che quello che si insegna sia fondamentale. È anche stato evidenziato che la particolare attenzione al più lungo periodo di meditazione che accompagna le lezioni di karate contribuisce a fare la differenza, cioè a migliorare i Karateka.
Per quanto riguarda il nostro ruolo di insegnanti la diversificazione dei programmi di allenamento spiega i diversi risultati delle ricerche, pertanto quello che si riscontra essere fondamentale è l’allenatore e in particolare la relazione tra Maestro/Istruttore e allievo, in virtù del fatto che la figura dell’insegnante diviene guida nonché modello di trasmissione di valori e dell’etica.
In linea di massima, su 2 ore di allenamento fare 15’ di riscaldamento consentirà di guadagnare molto in efficienza nell’attività successiva.
Karate e Aggressività
Un test eseguito ad hoc per il corso Istruttori /Maestri e che ha interessato sia noi aspiranti che persone esterne al nostro ambiente ha messo in evidenza aspetti molto positivi evidenziando con chiarezza come chi pratica questa disciplina dimostra avere una minore aggressività rispetto a chi non pratica Karate. Allo stesso modo si è riscontrato che sia gli uomini che le donne Karateka sono meno ostili rispetto alla media generale nazionale.
L’autocontrollo fa la “differenza”
Diverse le opinioni emerse in aula magna, al termine di questo week end, in merito a ciò che rende il praticante di Karate diverso dagli altri. Sicuramente c’è un aspetto che fa la differenza ovvero la capacità di autocontrollo. Con questo non s’intende soltanto lo stare attenti a non sferrare un pugno incontrollato al compagno, ma avere un controllo più ampio che riguarda qualsiasi azione che ci troviamo a svolgere nella vita. L’autocontrollo ci consente di svolgere un’attività, come il Karate, che può essere pericolosa e “formidabile” negli effetti che è in grado di provocare, ma il controllo ci permette di evitare danni. Ci permette di controllare il nostro carattere, le nostre emozioni, mantenere la giusta misura quando vinciamo una gara, quando ci sentiamo bravi ed euforici, perché consapevoli che esiste sempre un margine di miglioramento e che nulla è scontato; tutto ciò consente di superare inutili e dannose frustrazioni. E non dimentichiamo che nel Dojo Kun rappresenta l’ultima delle cinque regole d’oro del Karateka quasi a volerne evidenziare il suo fondamentale e ineccepibile valore: “prima di tutto cerca di acquisire l’autocontrollo”.
Qui il resoconto degli altri incontri.