Prepariamo pugni duri per uno spirito forte. Uno spirito forte per un cuore morbido.
Un pezzo di cuoio, non molto grande, teso, molto teso, che avvolge della paglia, secca, pressata. Tutto questo cinturato a un’asse di legno flessibile, molto spesso fissata al suolo.
Ecco il makiwara.
Lì fermo, inerme, quasi impalato, nell’angolo del Dojo.
Su di lui si narrano storie, leggende più o meno vere.
Vi scorrono vite, vite che si intrecciano, tante quante le mani e i piedi su di lui.
Il primo approccio è sempre impacciato. Ognuno gli si avvicina con sudore e timore, quasi con discrezione.
Attorno a lui molte leggende, molte faccende. Attorno a lui la pratica si accende.
E lui è lì, il makiwara.
La cupidigia accompagna due piedi ben saldi al suolo e l’anca aperta pronta a condurre la corsa del braccio che, sciolto, porterà il pugno a destinazione.
Nocche sbucciate, palmi dolenti, sudore giù per la schiena e nel pugno contratto. Uno, dieci, cinquanta, cento, cento cinquanta, duecento…
Come un martello, quasi ignorante, tipo un fardello, quasi indolente.
Quella sensazione strana, dapprima un pizzico, che via via sale e in breve diventa bruciore.
Ecco che il dolore inizia a farsi sentire, ma con calma, con discrezione.
I colpi aumentano, le due nocche arrivano dritte con il ritmo del nostro cuore e lui, fermo, non fa altro che aspettare.
E lui è lì, il makiwara.
Ed ecco sopraggiungere lo spirito.
Sì, quando il corpo si è mosso, il muscolo è contratto, il fiato è corto e il dolore senza conforto, lui è lì pronto: lo spirito.
Vite, mani, sudore, spirito.
Quale verità nascosta potrebbe mai celarsi dietro una pratica così ignorante?
La morbidezza, forse?
Quella morbidezza di cui la vita necessita e che vince su ogni cosa.
Quella morbidezza che non dovrebbe rendere ogni esperto invincibile, ma ogni uomo imperturbabile.
Quella morbidezza che attutisce, che si adatta e che nulla può spezzare.
Prepariamo pugni duri per uno spirito forte.
Uno spirito forte per un cuore morbido.
E con un cuore morbido i pugni duri non servono più.
E lui è lì, il makiwara.