Chan entrò a 7 anni nella prestigiosa scuola dell’Opera di Pechino, dove ha studiato Wushu, taekwondo e karate stesso. Ma proprio quando uscì ‘Karate Kid-La leggenda continua’ ci furono diverse polemiche, basate sul fatto che il film col karate c’entri poco.
Il karate inteso come arte marziale e filosofia di vita, oltre che come disciplina sportiva, dovrebbe cercare di cogliere tutte le occasioni che gli si presentano per far parlare di sé e diffondere la propria cultura, i propri valori. Anche quando sembrerebbe assolutamente paradossale.
Andiamo con ordine: l’occasione in questione l’ha regalata di recente l’Academy Award di Hollywood, insignendo l’attore-regista-produttore-sceneggiatore-cantante cinese di Hong Kong Jackie Chan dell’Oscar alla carriera. Motivazione principale del premio, che gli verrà consegnato durante un’apposita cerimonia a novembre: “L’aver contribuito al lancio e all’affermazione delle pellicole incentrate sulle discipline marziali orientali”.
Non è la prima volta che questo genere di film attira riconoscimenti di alto livello internazionale. Basti ricordare qui La tigre e il dragone di Ang Lee, oppure The Grandmaster, biografia del maestro di Bruce Lee e fondatore del Wing Chun, il leggendario Ip Man.
Jackie Chan non può vantare il fascino di Tony Leung, interprete di quel ruolo, ma condivide con lui l’abilità nella recitazione, e ci aggiunge di suo l’innata comunicativa e l’innegabile capacità di far ridere.
Il karate inteso come arte marziale e filosofia di vita, oltre che come disciplina sportiva, dovrebbe cercare di cogliere tutte le occasioni che gli si presentano per far parlare di sé e diffondere la propria cultura, i propri valori. Anche quando sembrerebbe assolutamente paradossale…
A proposito di Bruce Lee, al quale viene spesso accostato perché gli appassionati da sempre provano a immaginare l’esito di uno scontro tra i due, Chan ha risposto così a precisa domanda di un giornalista : «Non credo che lo avrei mai potuto battere in combattimento, ma nemmeno sarei stato così stupido da provarci».
È abbastanza curioso che vengano continuamente confrontati anche dal punto di vista cinematografico, dato che sono radicalmente diversi. Lee ha incarnato il prototipo del guerriero, nei suoi film c’è molta più azione che dialogo, è perennemente scontroso, introverso, persino vendicativo – nonostante fosse un filosofo, alla costante ricerca della pace interiore. Sostanzialmente, sullo schermo è stato sempre se stesso.
Invece Chan – che ha lavorato come stuntman in un paio di film di Lee – ha dato vita a personaggi molto diversi fra loro: un soldato vittima di amnesie, un ubriacone pazzo, una spia, un detective, un baby sitter e via discorrendo. Spesso conditi di imbranataggine, sbadataggine, a volte un ‘filino’ di codardia, che lo avvicinano alla dimensione umana degli spettatori. Nonostante l’agilità e la perizia tecnica nelle arti marziali, degne di un supereroe, notevoli anche ora che è ultrasessantenne.
Un Chan pieno di contraddizioni, com’è nella realtà: alfiere di strenue battaglie contro doping e alcolismo, s’è ritrovato nell’imbarazzo e nel dispiacere d’avere un figlio finito in carcere per droga; pur essendo tanto popolare, ha paura di parlare in pubblico; spesso rischia la vita sul set, ma quel che teme di più sono aghi e siringhe.
Tutto ciò, e il posteriore coinvolgimento nello scandalo finanziario dei Panama Papers, non gli hanno impedito di essere cooptato nella Conferenza consultiva politica del popolo cinese, aprendogli una nuova carriera.
Intanto, ha realizzato quello che era il sogno di Bruce Lee, precocemente interrotto dalla sua tragica morte: diventare famoso a Hollywood. Grazie alla a tenacia e al talento naturale, oggi Chan è il secondo attore più pagato in assoluto, dietro soltanto a Dwayne Johnson – ‘The Rock’ in Fast&Furious. E non solo per le sue qualità marziali.
Motivazione principale del premio, che gli verrà consegnato durante un’apposita cerimonia a novembre: “L’aver contribuito al lancio e all’affermazione delle pellicole incentrate sulle discipline marziali orientali”.
Qui, torniamo al karate. Jackie è noto ai karateka come protagonista di videogiochi, di show televisivi per ragazzi, in cui interagiva con i suoi fan sotto forma di cartone animato oltre che di essere umano, e di film come The Karate Bomber, The Big Brawl e soprattutto di Karate Kid–La leggenda continua, del 2010.
La pellicola non è un remake, né il seguito della prima della serie, quella uscita nel 1984 che includeva nel cast Pat Morita (nominato all’Oscar per la sua interpretazione dell’insegnante di karate) pur avendo degli spunti in comune. Soprattutto quello del burbero maestro – Chan appunto – che aiuta un ragazzino a difendersi dai bulli e a diventare un campione in erba, insegnandogli tutto quello che sa. Viene ripresa pure la mitica ‘scena della cera’, che qui diventa la ‘scena del giacchetto’.
Il lungometraggio ha ottenuto un successo tale che se ne sta preparando il sequel, da girare in Cina con gli stessi protagonisti.
In un’intervista Chan racconta che quando venne chiamato da Will Smith – il noto attore, produttore del film e padre di Jaden, il ‘karate kid’ – il quale voleva assolutamente assegnargli la parte, accettò immediatamente. Vide nel copione la possibilità di dimostrare che poteva diventare il “Robert De Niro asiatico”, valido nei ruoli drammatici, e non solo un acrobata, un virtuoso di calci e parate. Ed effettivamente, fatta salva qualche eccezione fra i critici, sembra esserci riuscito. A parere di chi scrive, ancor meglio in Little big soldier, dove riusciva a commuovere oltre che a divertire nelle vesti del soldato “pesce piccolo”.
Jackie è noto ai karateka come protagonista di videogiochi, di show televisivi per ragazzi e di film come The Karate Bomber, The Big Brawl e soprattutto di Karate Kid-La leggenda continua’, del 2010.
Occorre precisare, per gli amanti del karate ‘doc’, che a differenza del primo film qui c’è un ‘misto mare’ nell’utilizzo delle arti marziali. Del resto Chan, da quando entrò a 7 anni nella prestigiosa scuola dell’Opera di Pechino, ha studiato diverse discipline: dal wushu, versione coreografica del kung fu, al taekwondo al karate stesso – e non ha mai smesso di perfezionarsi.
All’uscita di questo episodio della saga ci furono diverse polemiche, proprio basate sul fatto che, a parte il titolo e qualcos’altro, il film col karate c’entri poco. Si parlò di volontà di potenza di Hollywood, di un tentativo di penetrare il restio mercato cinese. E per attuare questo disegno, cosa c’era di meglio se non sfruttare un marchio di successo come quello di ‘Karate Kid’? Insomma, sembrava ci avesse rimesso il karate; alla fine però anche questo film, che nel recente passato ha convinto molti bambini a iscriversi a un dojo, potrebbe – paradossalmente – in virtù della decisione dell’Academy, riportare attenzione sull’arte della mano vuota.