Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso. Igea Marina (RM) – 26.08.2016
Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò
All’inizio dell’incontro il M° Koso ha pensato di dedicare un minuto di silenzio (mokuso) per commemorare le vittime del terremoto nella zona di Amatrice. Sono contento di vedervi ancora una volta tutti voi uniti intono al M° Shirai. Il tempo passa velocemente e quest’anno sono passati già tredici anni dalla morte del M° Kase. Io ricordo sempre che sono qui per l’incontro e la conoscenza che ho avuto con il M° Kase.
Sono figlie della mente sia l’ignoranza sia l’illuminazione, tutti i fenomeni sono il risultato dell’operato della mente.
Un’usanza giapponese è ricordare due volte l’anno i propri defunti, come se ritornassero a casa due volte l’anno, una è tra il 13 e 15 agosto (obon) e l’altro periodo coincide con il Capodanno. In quei giorni si svolgono le pulizie generali di casa e si preparano cibarie per commemorare i propri cari.
Io questo 13 agosto sono stato a casa del M° Kase e, come tutte le volte, sua moglie mi racconta di come partirono dal Giappone, della loro venuta in Europa, dell’incontro con il M° Shirai e del loro rapporto di fraterna amicizia, sempre nell’ambito del ruolo allievo-Maestro. La signora Kase ha 88 anni, ma sta veramente bene, tanto che quando le dico che mi sento invecchiato lei mi risponde “Koso san, tu sei ancora un uccellino!” e così io mi rincuoro e prendo forza dalle sue parole.
Vorrei ritornare a parlare dei principi su cui si basa l’insegnamento del M° Shirai: MAZU SONO KOKORO WO TADASE, unendoli al racconto del jugyuzu (cfr. incontro del gennaio 2012).
Negli ultimi anni abbiamo affrontato il tema del kokoro. Oggi esistono tanti sistemi educativi per la comunicazione, che si sviluppano rapidamente grazie anche alle tecnologie, mentre ci sono poche occasioni per parlare del cuore, della pace nel mondo e di come si potrebbe vivere nella felicità.
L’informazione e gli spot televisivi bombardano la nostra mente e inducono continuamente nuovi desideri togliendoci la tranquillità.
Voi insegnanti di karate dovete cercare di creare occasioni per parlare del cuore (kokoro), questo lo dovete al Maestro come ringraziamento per quanto vi ha insegnato.
Non bisogna essere schiavi della mente, ma padroni della stessa… Kokoro è un qualcosa che non esiste è sia mente che cuore.
È importante nella pratica del Budo utilizzare il proprio corpo, la pratica dei movimenti di ogni giorno, per trasformare la mente e portarla in uno stato di equilibrio stabile nella quotidianità. Buddha parla di kokoro dicendo che l’immagine di tutte le cose si forma nella propria mente, quindi non bisogna essere schiavi della mente, ma padroni della stessa.
Sono figlie della mente sia l’ignoranza sia l’illuminazione, tutti i fenomeni sono il risultato dell’operato della mente. Kokoro è un qualcosa che non esiste è sia mente che cuore. Le informazioni arrivano da terminali quali gli occhi, le orecchie, il naso etc. ed è la mente che le trasforma in sensazioni e quindi pensieri. Bisogna dominare il pensiero. Come? Con la saggezza. La saggezza è misericordia, amore, pensiero per gli altri, gratitudine, non pensare per se stessi (ego), come se si applicassero sempre i dieci principi del M° Shirai.
La motivazione, è ciò che è importante. Chi vuole diventare campione è per essere famoso, ma conta di più ciò che poi potrà fare per trasmettere il suo insegnamento ad altri. Una persona molto intelligente cosa sarebbe se agisse fuori dai principi di mazu sono kokoro wo tadase? La conoscenza è uno strumento, come la si utilizza? Non si può pensare solo alla propria convenienza. Nella tecnica del karate si può togliere la vita ad altri e quindi divulgata male sarebbe come vendere armi alla Mafia o alla Yakuza.
L’insegnamento è una grossa responsabilità.
Le tecniche di comunicazione oggi sono diventate raffinate, ingannevoli, più impulsive, penetranti e ammalianti. Chi utilizza questi strumenti ha la responsabilità di pensare sempre a migliorare la vita e a perorare la pace.
Jugyuzu
È un racconto utilizzato nello Zen per raccontare il percorso di crescita della persona, per capire dove si trova e come può migliorare per migliorarsi.
Nel jugyuzu è protagonista un bue. Simbolicamente è un animale che può rappresentare il nostro cuore e la nostra mente. Esso è normalmente tranquillo, ma quando si arrabbia è difficile da contenere. La ricerca del bue significa la ricerca della propria mente. Possiamo accostarlo anche all’apprendimento del karate, ovvero a una motivazione.
Prima di illustrarvi il jugyuzu vorrei fissare l’attenzione sulle parole del monaco Kugai Shonin: “Perché è nato Buddha? Per la stessa ragione per la quale noi siamo nati”. Possiamo pensare anche a Gesù, queste parole potrebbero essere sue allo stesso modo. Sia Buddha sia Gesù sono nati per la stessa ragione per la quale siamo nati noi. Sembra strano, ma ripetendo qualche volta queste parole viene in mente mazu sono kokoro wo tadase.
Nei sutra ricorrono queste parole “Il Buddha sa perfettamente che tutto è creato dalla mente, chi riesce a comprendere questa verità può vedere il vero Buddha”. Dentro queste parole è possibile sostituire alla parola Buddha: io. “Io so perfettamente che tutto è creato dalla mente, chi riesce a comprendere questa verità può vedere il vero se stesso”. Noi abbiamo una grande occasione sapendo come pensare per migliorarci. Cambiando il modo di pensare si può arrivare a fare qualsiasi cosa.
Voi insegnanti di karate dovete cercare di creare occasioni per parlare del cuore (kokoro), questo lo dovete al Maestro come ringraziamento per quanto vi ha insegnato.
Tornando a jugyuzu guardiamo le immagini.
- La prima, Jingyu, riguarda la ricerca del bue. Il ragazzo cerca il bue (se stesso) come punto di partenza.
- La seconda, Kenseki, è la scoperta delle impronte del bue, come se si fosse all’inizio della pratica del karatedo.
- La terza Kengyu, s’intravede la parte posteriore del bue, si capisce e s’immagina qualcosa, si ha confidenza con i movimenti, ma ancora non c’è consapevolezza di quello che si sta facendo e non si devono dimenticare le parole: “Sia Buddha sia Gesù sono nati per la stessa ragione per la quale siamo nati noi”. È il momento che per andare avanti nel cammino giusto, bisogna avere un Maestro giusto.
- La quarta, Tokugyu, la cattura del bue. Combattendo contro se stessi si “cattura”, si arriva a capire qualcosa (livelli I o II dan), ma è anche facile abbandonare perché si pensa che l’obiettivo sia raggiunto. A maggior ragione qui è ancora più importante il ruolo del Maestro che indica come proseguire il cammino di miglioramento, perché se si fosse iniziato solo per se stessi sarebbe facile abbandonare. Se questa ricerca nel karatedo è fatta anche per altri allora si può andare avanti.
- La quinta, Bokugyu, il bue è dominato. Dopo la lotta per la cattura l’animale è dominato “il tuo padrone sono io”, è un momento di tranquillità, ma permane il desiderio di andare avanti nella ricerca.
- La sesta, Kigyu Kika, il ritorno a casa sopra il bue. Senza tanto sforzo il bue si lascia condurre dove voglio. Nel karatedo sono diventato un campione, ho tanti allievi e riesco a fare cose che non immaginavo all’inizio della pratica. È il momento più pericoloso, perché si sente di essere arrivati al massimo e forse c’è il desiderio di smettere. Ma pensando al jugyuzu siamo solo alla sesta immagine, non è finita. Il ritorno a casa potrebbe significare partire di nuovo.
- La settima, Bogyusonjin, dimenticare il bue, è un importante cambiamento nella propria vita. Non c’è più il bue, è scomparso. Inizio a capire che dove sono arrivato non sono arrivato da solo. Si comincia a sentire il senso della propria vita che mai prima si era manifestato. Interviene il pensiero di gratitudine verso gli altri e si pensa a come potere aiutare altre persone. Nel disegno si vede la luna che è simbolo di verità e di principio, si comincia a capire il principio della vita.
- L’ottava, Ningyugobo, non c’è l’uomo e non c’è il bue, è il concetto di ku. L’immagine sembra vuota, ma è piena allo stesso tempo. Non si può separare nessuna cosa dall’universo che la contiene. C’è parità di esistenza per tutti gli elementi e pensando in questo modo possiamo ringraziare tutte le cose che ci circondano. Cosa significa in sanscrito la parola Buddha? Significa persona che ha fatto svegliare la sua mente e ha cominciato a capire il principio del mondo.
- La nona, Hembongengen, il ritorno all’origine. Sembra che sia ritornato un paesaggio precedente, ma tutto è cambiato dopo l’esperienza precedente. Si guarda alle altre cose con un’ottica paritaria, si vede solo quello che esiste, tutto come se fosse una grande sinfonia.
- La decima, Nyutensuishu, ritorno nel mondo quotidiano per dare una mano. Nell’immagine c’è una persona che con un sorriso porge dell’acqua a un viaggiatore, come se stesse trasmettendo un aiuto con grande felicità. Quest’uomo non è più quello di prima, ha le sembianze fisiche del Buddha, non è vestito elegante, ma il suo cuore è sereno. Se fosse diventato felice da solo non sarebbe una vera felicità, se riesce a trasmettere la sua felicità agli altri, quello è il vero obiettivo raggiunto.
Ricordiamo le parole che ho detto prima: la ragione per la quale sono nati Buddha e Gesù è la stessa per la quale siamo nati noi. Il nostro impegno è realizzare con cuore una società migliore per la felicità di tutti.
Sono contento, che questa lezione possa servire per il vostro cammino per migliorare la vostra vita. Anch’io cerco di farlo ogni giorno per andare avanti.
Grazie per la vostra attenzione.
Gassho, M° Mitsutaka Koso.