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Lotta al doping: l’esempio del Karate

Lotta al doping: l’esempio del Karate

L’arte della mano vuota è riuscita sinora a evitare l’impatto del doping fra i suoi praticanti. Ma alla luce degli ultimi sviluppi antecedenti le Olimpiadi in Brasile, c’è motivo di preoccuparsi?

All’indomani della deflagrazione dello scandalo doping nell’atletica leggera russa, che è stata esclusa dalla partecipazione alle Olimpiadi di Rio e del caso Schwazer bis – col marciatore italiano che ha denunciato una persecuzione ai danni suoi e di Sandro Donati, il suo tecnico, emblema da decenni delle campagne per lo sport pulito – ci domandiamo: il karate, in questo senso, come sta?

Notizie freschissime hanno fatto suonare un campanello d’allarme. Il californiano Gino Bough, 35 anni, componente della squadra nazionale USA – peraltro in procinto di abbandonare l’attività – è stato sanzionato dall’apposita struttura di test e certificazione degli Stati Uniti. L’accusa: aver mancato l’appuntamento con i controlli per 3 volte di seguito negli ultimi 12 mesi. Così il 26 luglio è stata annunciata la sentenza, che ha valore retroattivo: Bough si è visto cancellare i risultati sportivi e confiscare premi e medaglie conquistate a partire dal 26 febbraio di quest’anno.
Un passo indietro e siamo a gennaio 2016, quando è scattata la squalifica di 2 anni per Svyatoslav Erenkov, vincitore di 2 medaglie d’argento ai Mondiali 2015 della KWU.
Il suo allenatore ha contestato la decisione, spiegando che l’ atleta ha dovuto sottoporsi a un lungo trattamento a base di tamoxifen – medicinale usato nella cura di alcune forme di tumore – a seguito di un intervento chirurgico, ignorando che fosse incluso tra le sostanze proibite. In effetti il tamoxifen non è una droga, ma copre o limita gli effetti collaterali di alcune pratiche dopanti. In particolare, la formazione di coaguli nel sangue e la crescita di volume del petto. Attualmente è in corso l’appello alla giustizia sportiva.
In Italia, l’ultima segnalazione fa persino “sorridere”; riguarda un giovane specialista del kata, il mantovano David Lena, che si è abbandonato alla leggerezza di fumare qualche spinello appena prima di una gara importante come l’Open di Campania di dicembre 2015, dove è giunto sul podio in 2 categorie. Corollario della premiazione sono gli esami delle urine ai vincitori e per sua sfortuna le analisi hanno evidenziato tracce di cannabis; da qui l’automatica esclusione dalle competizioni per 2 mesi.
Il precedente meno remoto – datato 2005 – coinvolgeva Antonia Di Rella, promessa del kumite già a medaglia nei campionati d’Europa e Mondiali giovanili, risultata positiva al metabolita Thc che, ad alto dosaggio, innalza sensibilmente l’aggressività e la soglia del dolore.

Questi episodi si inseriscono in un panorama nazionale sconfortante, che vede il nostro Paese al primo posto nel mondo per numero di atleti incorsi nel doping in tutte le discipline sportive riconosciute, scacchi compresi, davanti perfino alla ‘malefica’ Russia (dati 2015 della Wada, agenzia antidoping mondiale).
Tutto bene dunque? Parrebbe proprio di sì, a giudicare dall’assenza di nomi al vertice delle classifiche internazionali nelle liste di chi abusa di sostanze vietate e anche dal rapporto Wada 2014 che, a livello globale, assegna al karate una percentuale di atleti dopati vicina allo zero. Merito della correttezza dell’intero movimento, rinsaldata spesso dalle motivazioni idealistiche e spirituali di chi pratica, oltre che dell’efficacia ed efficienza nell’applicazione dei regolamenti. E dalla mancanza di vorticosi giri di danaro legati a sponsor, pubblicità, diritti televisivi.
Da noi, a parte l’adesione completa ai protocolli stabiliti dalle agenzie antidoping e dalle federazioni, c’è da registrare l’attivismo delle singole palestre – alcune delle quali organizzano incontri sul tema, in collaborazione con scuole e associazioni del proprio territorio, valga per tutte la citazione di quella del Maestro di Shotokan Marco Di Carmine, nei dintorni di Roma – e quello di indimenticati campioni del passato, che si prestano come testimonial per campagne informative e di sensibilizzazione, soprattutto sui social e sul web.
Un esempio è quello dell’Osservatorio Nazionale sul Bullismo e doping che fra i suoi aderenti annovera l’ormai mitico team Shotokan di kata Valdesi-Maurino-Figuccio, plurivittorioso nei massimi tornei continentali e mondiali.

Nelle arti marziali, karate compreso, l’utilizzo del doping ha una sua specificità. Sicuramente, come in passato, vengono ancora adoperati gli steroidi anabolizzanti che aiutano a incrementare la massa muscolare, la resistenza allo sforzo, la forza e persino la cattiveria agonistica, oltre a velocizzare la fase di recupero dopo allenamenti e gare. Fra questi, il più popolare è un derivato sintetico del testosterone, ormone prodotto dall’organismo umano: lo stanozololo. Ancor più comune è l’uso dei diuretici, che nel kumite servono a perdere peso per poter rientrare nella categoria prevista e, in generale, mascherano la presenza di agenti dopanti nelle urine, in virtù dell’aumentata produzione delle stesse.
Guai comunque ad abbassare la guardia. Secondo recenti studi, circa il 4% degli alunni delle scuole superiori statunitensi ha fatto ricorso a qualche droga per migliorare le proprie prestazioni intellettive e sportive. Su questo punto la conferma arriva dalla solita Wada, secondo la quale le sue stesse statistiche sono inficiate dal fatto che i controlli nelle categorie giovanili sono quasi assenti anche in Occidente, soprattutto quelli ‘fuori competizione’. In più, c’è l’ostacolo di visti e autorizzazioni difficili da ottenere nel caso di esami e visite da effettuare in Paesi con legislazioni molto rigide, o a rischio di guerra, terrorismo ecc. O addirittura senza laboratori convenientemente attrezzati, pensiamo all’Ucraina o a parte del Medio e del Vicino Oriente, che nel karate vantano una notevole tradizione.
Non è mai abbastanza presto per attuare una corretta informazione riguardo al doping. Solo una solida conoscenza di base dei metodi e dei farmaci vietati può salvaguardare la salute, che si tratti di amatori o di agonisti, e contemporaneamente evitare spiacevoli sorprese nei controlli.

Fonti:
Rapporti Wada.
Le classi di farmaci vietate secondo l’agenzia WADA.
Le azioni sull’organismo.
Doping: tutte le statistiche del 2015. Italia e Russia bocciate, atletica da rifondare.

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