Ma tutte quelle ‘sopra i 30 e sotto i 50’, dove sono? Tutte a casa a stirare?
(in Karate Do n.33 gen-feb-mar 2014)
Questo contributo parte da una riflessione, sviluppata con un’altra karateka, riguardante una questione che periodicamente si ripropone, specialmente nell’ambito di gare e competizioni: esistono differenze fra maschi e femmine nel modo di affrontare e di praticare il Karate? Se sì, quali?
L’abbigliamento è assolutamente unisex, il karategi nasconde le forme e un atleta visto da dietro può sembrare indifferentemente maschio o femmina; si può tirare a indovinare basandosi sulla forma del collo e sul taglio di capelli, ma i dettami attuali della moda potrebbero trarci in inganno.
Le tecniche sono quelle, per tutti: che siano di kihon o di kumite, o che si tratti di un kata. I concetti di kime, precisione tecnica e rispetto dell’avversario, non cambiano in base al genere. Un kizamizuki sui denti fa male allo stesso modo, al di là della soggettiva soglia del dolore. D’altra parte, pensando anche ad altre attività, come danza classica, pallavolo o rugby, non compaiono molte differenze di genere nel modo in cui quell’attività si pratica: ha per tutti le sue regole e i suoi modi di esecuzione.
Le ragazzine arrivano nel dojo con le unghie dei piedi smaltate in vari colori, braccialettini tintinnanti da togliere e orecchini da coprire con il cerotto; qualcuna si è già presa una sgridata perché voleva portare la cintura “a vita bassa” invece che al suo posto.
Dal punto di vista tecnico alcune ragazze, ma non tutte, sono più sciolte e snodate dei maschi, hanno più facilità con i calci jodan.
Le dinamiche di spogliatoio e dei momenti informali sono sicuramente diverse fra maschi e femmine – ma sono dinamiche comuni a tutti gli ambiti gruppali maschili e femminili –.
Un kizamizuki sui denti fa male allo stesso modo.
Le ragazze sono quelle che si preoccupano di più di chi si è infortunato o di aver fatto male affondando troppo un gyakuzuki? Bah, tutto da dimostrare. Che siano meno competitive o meno “forti” dei maschi, non pare proprio, anzi, nel kumite sembrano a volte più agguerrite e determinate.
Se andiamo a rileggere il Dojokun, non troviamo nulla a cui poterci aggrappare rispetto alle differenze di genere, benché il Maestro Funakoshi dovesse avere in mente solo praticanti rigorosamente maschi; ma erano altri tempi, altri luoghi.
Fra gli atleti adulti la prevalenza numerica è nettamente maschile, nel dojo o agli stage è facile domandarsi: “Ma tutte quelle ‘sopra i 30 e sotto i 50’, dove sono? Tutte a casa a stirare? Allora io cosa ci faccio qui? Poi smetto di chiedermelo e torno ad allenarmi”.
Quindi, in cosa differisce per maschi e femmine il fatto di praticare Karate? Proprio perché “il Karate è il Karate” e si fonde con la vita, viene difficile pensare a donne che rispondano “mi fa calare la pancetta”, non stiamo parlando di Pilates o GAG! Lo stesso vale per uomini che si sentano più forti e virili con il Karate rispetto al body-building… Non avrebbero ancora capito dove sono!
Tutte le motivazioni che si possono trovare per praticare e amare il Karate, anche rifacendomi agli studi di Giulia Cavalli, sono molto trans-gender… Ognuno ha le proprie e se il Karate finisce per coincidere con un pezzo di vita, come dovrebbe essere, abbiamo la soggettività al potere.
Le ragazze sono quelle che si preoccupano di più di chi si è infortunato o di aver fatto male affondando troppo un gyakuzuki? Bah, tutto da dimostrare.
Uno spunto teorico può derivare dagli studi di Baron-Cohen.
Provate a rispondere a questo TEST, indicando se quanto proposto nella frase è nel vostro caso vero o falso.
- Capisco subito se qualcuno desidera unirsi alla conversazione.
- Mi metto facilmente nei panni degli altri.
- Mi lascio coinvolgere nei problemi di un amico.
- Non so mai bene come comportarmi nelle situazioni sociali.
- Riesco a prendere decisioni senza farmi influenzare dai sentimenti e dalle opinioni altrui.
- Di solito, quando vedo un film, sono distaccato.
- È molto probabile (ma non preoccupatevi se non è così!) che, se avete risposto vero alle prime tre affermazioni e falso alle successive, siate donne.
- Ora provate a rispondere a queste altre.
- Se compro un’automobile, voglio conoscere bene tutte le caratteristiche del motore.
- Mi è chiaro come funzionano le quotazioni nelle scommesse.
- Se a casa mia ci fossero problemi con l’impianto elettrico, riuscirei a riparare il guasto da solo.
- Leggo raramente articoli sulle nuove tecnologie.
- Quando studio un evento storico non mi curo delle date.
- Faccio fatica a orientarmi in una città nuova.
Se avete risposto vero alle prime tre e falso alle successive, molto probabilmente (ma non è detto che sia così) siete uomini.
Questi esempi sono tratti da Questione di cervello. La differenza essenziale tra uomini e donne, Mondadori, 2004, in cui l’autore, Simon Baron-Cohen, famoso psicologo britannico, individua delle differenze nei cervelli maschili e femminili.
Non tutti gli uomini hanno quello che egli definisce “cervello maschile”, non tutte le donne hanno il “cervello femminile”; l’omosessualità non c’entra per nulla, soltanto, in media gli uomini possiedono di più le caratteristiche tipiche di questo cervello, lo stesso dicasi per le donne e i cervelli “femminili”.
Appare evidente come uomini e donne si comportino in modo diverso, come la maggior parte delle bambine giochi con le bambole e mostri la presenza di capacità empatiche, mentre i maschietti preferiscono giocare con le macchinine o fare la lotta e tendono a essere più interessati a questioni che richiedono la sistematizzazione.
Le maestre e le assistenti sociali sono per lo più donne, mentre i politici e i meccanici sono per lo più uomini. Rispetto all’ultimo item, per esempio, quanti uomini conoscete con un senso dell’orientamento di un cinghiale, anche se qualche volta “si perdono” pure loro, e quante donne con un senso dell’orientamento pari a quello di un canarino? Ecco, appunto.
Se il Karate finisce per coincidere con un pezzo di vita, come dovrebbe essere, abbiamo la soggettività al potere.
Ma in cosa consiste questa differenza?
Il cervello cosiddetto “femminile” è programmato per l’empatia (la capacità di riconoscere pensieri e sentimenti altrui, e reagire in modo opportuno), per il dialogo e la narrazione, mentre quello “maschile” è privilegiato nella sistematizzazione (parcheggiare, aggiustare, organizzare, analizzare, elaborare dati).
Naturalmente, anche gli uomini conoscono l’empatia e anche le donne possono impiegare la sistematizzazione. Quando parliamo con gli amici metteremo in campo le nostre doti di comprensione sociale per avvicinarci al loro stato d’animo; quando stiamo imparando un kata superiore faremo ampio uso della sistematizzazione, per memorizzare l’embusen, visualizzare gli avversari, migliorare la nostra tecnica in termini di precisione, efficacia e così via.
Baron-Cohen individua come le regioni cerebrali dedicate alla sistematizzazione siano in genere più sviluppate nei maschi, mentre le regioni dedicate all’empatia siano di solito più sviluppate nelle femmine. Questa distinzione ha permesso la sopravvivenza della specie fino ad ora ed è risultata funzionale e vincente, tanto che l’evoluzione non l’ha annullata.
I fattori che influenzano lo sviluppo di una parte piuttosto che di un’altra sono molteplici, specialmente genetici, ormonali e legati a quelle componenti biologiche che hanno a che fare con l’essere maschio o femmina. Solo in parte si tratta anche di fattori culturali, per cui le bambine giocano con Cicciobello e i bambini con le macchinine perché la cultura lo prevede e perché i giocattoli vengono loro regalati in base al genere.
Applicando questa teoria al Karate, restiamo a chiederci se l’appartenenza di genere comporti differenze significative nel dojo e nell’intendere la nostra arte marziale.