Talento, tecnica e passione sono gli ingredienti che fanno la differenza nella preparazione agonistica.
(In KarateDo n. 31 lug-ago-set 2013)
Avvocato, Maestro di karate e Allenatore della Squadra Nazionale ISI di kata: il M° Pasquale Acri è un uomo di poche parole, ma di tanti fatti. Sposato con Lorenza Bernardi (ex agonista e tuttora praticante di karate) ha due figli, Marcello e Iris, cui ha già trasmesso, insieme alla moglie Lorenza, una grande passione per l’attività sportiva all’aria aperta. Praticante di karate sin da bambino, il Maestro inizia il suo percorso di karateka con il M° Sergio Meroni, per poi continuare la pratica sotto la guida del M° Carlo Fugazza: alle sue spalle, un grande bagaglio agonistico, ricco di allenamenti, campionati, soddisfazioni e tante vittorie individuali e a squadra nella specialità del kata. Conosciamolo meglio attraverso l’intervista che ci ha gentilmente rilasciato.
Gli allievi sono il motivo per cui noi Maestri esistiamo, perché sono il nostro specchio più diretto.
Maestro Acri, dove e quando è nato?
Sono nato a Nocera Inferiore, il 17 settembre 1965. Mia madre ci teneva a partorire nel luogo dov’era cresciuta. Dopo pochi giorni però sono venuto a stare a Milano in pianta stabile.
Che studi ha fatto e che professione svolge?
Ho studiato giurisprudenza e sono avvocato, oltre che Maestro di karate, ovviamente.
Che cosa ci racconta della sua famiglia?
Mia moglie Lorenza pratica karate e devo dire che questo per noi è sempre stato un bel collante. Da quando è nato il primo figlio lei ha iniziato ad appassionarsi anche al triathlon, diventando pure allenatrice e ha trasmesso questa passione per gli sport all’aria aperta a Marcello. Lui ora è già un supersportivo, anche se sogna di andare alle Olimpiadi nella specialità dei 100 metri. Poi c’è Iris, 4 anni, la vera peste di casa. So già che con lei, quando crescerà, vedrò i “sorci verdi”…
Com’è nata la sua passione per il karate?
Ho iniziato a 9 anni, con il M° Sergio Meroni. Ho cominciato un po’ per caso, perché la palestra era vicino a casa mia, ma è stato amore a prima vista. Dopo pochi mesi mi stavo già allenando con il M° Fugazza e da allora non l’ho più lasciato.
Quali altre importanti persone hanno contribuito alla sua formazione di karateka? Tra maestri, allievi o semplicemente amici: chi vorrebbe ricordare oggi con maggiore affetto e stima?
Sicuramente il M° Fugazza è stato per me non solo il mio Maestro, ma anche una sorta di mentore, da seguire e imitare nella correttezza del comportamento, e non potevo trovare persona più limpida. Poi sicuramente l’incontro con il M° Shirai è stato fondamentale ed è un privilegio per me continuare ad allenarmi con lui. Gli allievi, infine, sono il motivo per cui noi Maestri esistiamo, perché sono il nostro specchio più diretto.
Quando ha conseguito le qualifiche di istruttore e di maestro?
Ho conseguito la qualifica di istruttore nel 1990 e quella di maestro nel 1998.
Che cosa l’ha motivata a percorrere anche la strada dell’insegnamento?
Quando fai tanto lavoro su te stesso è normale avere il desiderio di trasmettere (o almeno di provare a farlo) a un gruppo di allievi le stesse sensazioni e gli stessi entusiasmi. Si crea un legame empatico molto profondo e appagante. Con gli adulti si parla un po’ la stessa lingua; ma con i ragazzini rivesti anche la responsabilità di essere un compagno di viaggio nel loro cammino di crescita.
Kihon, Kata, Kumite, Bunkai, Engi Bunkai: qual è stata sin dall’inizio della pratica la sua specialità preferita? Oggi, durante gli allenamenti, a quale di queste specialità vorrebbe dare la precedenza?
Come dice sempre il M° Shirai tutto fa parte del karate quindi è come se quest’arte marziale si svelasse sotto diversi punti di vista, kihon, kata, kumite… tutto è strettamente collegato. Ovvio, la mia carriera agonistica ha fatto sì che risaltassi soprattutto nel kata, forse anche per le mie caratteristiche fisiche.
Qual è stato il suo primo successo agonistico e i più importanti risultati agonistici successivamente conseguiti?
Ho vinto il mio primo campionato italiano nel lontano 1981 e da lì sino al 1996 è stato un continuo, sia in ambito nazionale sia internazionale. Però, se devo dare una preferenza, il campionato del mondo di Città del Messico del 1990, insieme ai miei compagni di squadra Alessandro Cardinale e Dario Marchini (sotto la guida del M° Fugazza) è l’evento che più è rimasto marchiato a fuoco nella mia memoria. Fummo la prima squadra a battere il Giappone nella competizione di kata a squadre.
In occasione del discorso inaugurale della prima olimpiade moderna, Pierre de Coubertin disse: “La cosa più importante nei giochi olimpici non è vincere ma partecipare, poiché la cosa più importante nella vita non è il trionfo ma la lotta. La cosa essenziale non è conquistare, ma battersi con onore…”. Qual è il suo pensiero in proposito, sia come agonista di karate sia come allenatore di kata della Squadra Nazionale ISI?
Penso che De Coubertin avrebbe potuto essere un grande karateka! Il concetto di portare onore all’avversario, impegnandosi al cento per cento, sia in gara, sul tatami, ma già a partire dagli allenamenti nel dojo, deve essere la linfa vitale che muove ognuno di noi. È il percorso, la Via, il viaggio dentro di noi ciò che rapisce e affascina del karate, quello che sta ‘in mezzo’, per intenderci. Poi certo, se si vince è fantastico e una grande soddisfazione. Quando si sale sul tatami, si sale per vincere, ma quello che voglio trasmettere ai miei ragazzi è l’importanza del viaggio che abbiamo fatto assieme per arrivare lì, hic et nunc, in quel preciso istante dove ci si gioca tutto. Ma questo l’aveva già detto Robert Louis Stevenson: “Io non viaggio per andare da qualche parte, ma per andare”.
Secondo la sua personale esperienza, che cosa riesce a fare la differenza nella preparazione agonistica degli atleti, in vista di un Campionato Europeo o Mondiale?
Il talento: i mezzi fisici con cui siamo nati. La tecnica: lo studio e la limatura dei particolari. La passione: perseveranza, determinazione e ore di allenamento.
Insieme ai miei compagni di squadra Alessandro Cardinale e Dario Marchini … fummo la prima squadra a battere il Giappone nella competizione di kata a squadre.
In occasione dell’ultimo Campionato svoltosi a Belgrado, quali atleti si sono distinti e hanno maggiormente soddisfatto le sue aspettative di allenatore?
Gli atleti che fanno parte della squadra nazionale si sono già distinti in qualche modo, diversamente non li avrei selezionati. Sono ragazzi che sono emersi dal panorama agonistico per la loro perseveranza, dedizione e abnegazione per il karate. Durante i campionati, quindi, al di là del risultato sulla carta, per me erano già tutti vincitori, indipendentemente dalle medaglie vinte. Certo, la vittoria della squadra di kata maschile (Bianchi, Cuscona e Rocchetti), squadra fortemente voluta e creata ex novo 2 anni fa, mi ha dato particolare soddisfazione. Crearla completamente rinnovata è stata una bella sfida.
In vista del Campionato Mondiale, che si terrà a fine settembre a Liverpool, quali nuovi obiettivi si è posto come allenatore e quali nuovi risultati si attende dagli atleti?
Vincere! Cos’altro?
Qual è la cosa più preziosa che il karate le ha insegnato? E il più grande beneficio che il karate apporta oggi alla sua vita quotidiana?
La pratica del karate mi ha insegnato soprattutto la perseveranza, che cerco di declinare in tutti gli aspetti della mia vita quotidiana.