La mia esperienza di apprendimento al Corso di Formazione per “Martial Art Therapist”
(in Karate Do n. 28 ott-nov-dic 2012)
Si ringraziano Cristina Mannini e Gianluca Malengo per la preziosa collaborazione
Ci sono molte ragioni che mi hanno spinto ad aderire al corso di formazione per MARTIAL ART THERAPIST.
–La prima è che, avendo perso entrambi i miei amati genitori per malattia neoplastica, so perfettamente quale sensazione di dolorosa impotenza si prova quando arriva la “diagnosi definitiva”.
–La seconda è che, avendo in tutti e due i casi dato molto di me stesso per portarli a una fine decorosa e il più “indolore” possibile, so esattamente a quale marasma affettivo ci si sottopone.
–La terza, ma non per importanza, è che si tratta di bambini! L’avere scoperto che qualcuno ha capito che attraverso le arti marziali, segnatamente il karate, è possibile restituire a questi bambini (ed evito deliberatamente di aggiungere aggettivi, dato che ci è stato chiaramente spiegato che il pietismo è il peggior atteggiamento volendo essere realmente utili), la voglia e la dignità di combattere contro un destino crudele, è stato per me illuminante. Così come riuscire ad attivare, se possibile, le loro residue capacità di reazione, oltre a consentire, attraverso la meditazione e la respirazione, una significativa riduzione dei dolori. Tutto ciò mi ha definitivamente reso chiara una mia possibile mission nell’ambito delle arti marziali, essendo io, oltretutto, un medico.
Pratico Karate Tradizionale Shotokan da quasi 40 anni e lo insegno da oltre 30. Dagli allievi ho ricevuto molto e dato altrettanto. Nella mia piccola esperienza, ho visto morire un allievo, suicida perché “troppo” in tutto, questo mi ha dato (oltre all’immenso dolore) la capacità di aiutarne altri con successo quando se n’è presentata l’occasione e, ovviamente, mi ha convinto dell’enorme potenzialità del Karate, tanto più se insegnato da un maestro debitamente formato (e talvolta auto-formato) in alcune problematiche specifiche.
–La quarta ragione, è che essendo io stesso stato colpito da una grave e debilitante (anche se non di origine neoplastica) malattia ed essendo, con l’enorme energia conferitami dal Karate, se non uscitone del tutto, almeno messo in condizione di “gestirla”, mi sento in grado di mettere a disposizione di chi ne ha bisogno, il know how acquisito. Sono venuto a sapere tramite il tanto vituperato Facebook dell’esistenza della KIDS KICKINGS CANCER ITALIA ONLUS, che è la corrispondente italiana della Kids Kickings Cancer (KKC) americana.
Qualcuno ha capito che attraverso le arti marziali, segnatamente il karate, è possibile restituire a questi bambini la voglia e la dignità di combattere contro un destino crudele.
Concetti di base liberamente tratti dal manuale per terapisti marziali.
La KKC è un’organizzazione no profit che nasce negli USA per volontà di Rabbi Elimelch Golberg, pediatra ed esperto di arti marziali (che a sua volta ha perso una figlia di due anni per neoplasia), il quale utilizza tecniche e filosofia proprie delle arti marziali per aiutare i bambini affetti da cancro e/o gravi malattie croniche ad affrontare e a gestire meglio la propria patologia. La malattia di un bambino è un evento devastante sia per lui sia per la famiglia che si trova ad affrontare qualcosa per cui è sempre e comunque difficile essere preparati.
Tutti i bambini che partecipano ai programmi promossi da KKC entrano a fare parte del CIRCOLO DEGLI EROI, diventando a loro volta piccoli testimoni e ambasciatori di KKC.
La missione si sintetizza in tre parole che rappresentano anche il saluto insegnato ai bambini in apertura e chiusura di ogni lezione: POWER, PEACE, PURPOSE!
POWER: la forza quale primo passo necessario per affrontare la gestione di qualsiasi situazione estrema, come per esempio la malattia.
PEACE: il raggiungimento della consapevolezza della propria forza e di una maggiore tranquillità interiore, quali primi risultati di una migliore gestione della patologia.
PURPOSE: l’obiettivo finale che chiude il circolo virtuoso riconducendo i piccoli malati a un nuovo avvio e consiste nel far sì che i bambini diventino ambasciatori dell’approccio di KKC nel mondo, insegnando agli altri le tecniche che hanno appreso e aiutandoli così a sviluppare, a loro volta, quella forza interiore indispensabile per affrontare e gestire meglio dolore, rabbia, ansia, paura, stress o altri problemi psico-fisici.
Gli istruttori di KKC affiancano i piccoli pazienti sia nella degenza sia nella riabilitazione extra ospedaliera, promuovendo lezioni e corsi pratici per allenare il corpo, ma specialmente la mente, attraverso l’insegnamento di semplici tecniche delle arti marziali ed esercizi di respirazione. In questo modo migliora la capacità di gestire il dolore e di affrontare le cure e le terapie, ma soprattutto l’approccio psicologico ed emotivo nei confronti della malattia stessa.
In questi 13 anni KKC ha collaborato con i principali Ospedali Pediatrici degli USA e del Canada, e assistito oltre 5000 bambini.
L’Italia è il primo paese in Europa in cui l’associazione ha avviato la propria attività e il primo programma nasce in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
L’Italia è il primo paese in Europa in cui l’associazione ha avviato la propria attività e il primo programma nasce in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. L’obiettivo di KKC Italia è di aiutare il più ampio numero di bambini, avviando collaborazioni con altre strutture ospedaliere specializzate in pediatria in tutta Italia.
È stato per me gioco forza coinvolgere in quest’avventura un amico di relativamente recente, ma da subito, profonda acquisizione: il M° Gianluca Malengo, che già da molto svolge opera di supporto e aiuto a pazienti gravemente disabili attraverso il Karate, ma anche mediante l’utilizzo dei migliori amici del genere umano: i cani.
Alcuni concetti del corso che mi hanno maggiormente colpito.
- Pensare sempre e solo in termini di “QUI E ADESSO”.
- Uso terapeutico del Karate. Spostare l’enfasi dalla malattia alla normalità. Dare un senso alla malattia.
- Pur trattandosi di uno Studio non controllato, l’applicazione del metodo su 244 bambini ha dimostrato una riduzione nella percezione del dolore dell’88% in media!
- Cercare attraverso il nostro intervento di far emergere la grande rabbia compressa, reindirizzandola nel senso di un innalzamento del temperamento del bambino, che in questo caso è duramente frustrato se non disamorato.
- Uso del kihon come stimolatore e rigeneratore di collegamenti neurali (sinapsi) danneggiati e depressi dalle terapie antiblastiche. Del kata come forma di lotta interiore e amore per la solitudine. Del kumite come forma di acquisizione del potere del controllo, come scelta del “potrei, ma non voglio”, come controllo e sviluppo dell’auto governo; infine, come verifica: “sono qui per me non per te o contro di te, anzi sono qui e basta”.
- Incremento della plasticità in senso neurologico: potenzialità di cambiamento. Si lavora principalmente sulla plasticità emotiva. Emotività: sii felice, ma non eccitato, sii triste, ma non malinconico.
- Uso dello zen focalizzando l’attenzione sulla realtà in quanto tale e non sulle nostre reazioni emotive o sulle nostre razionalizzazioni intellettuali circa cosa sia la realtà. In questo senso lo zen è un approccio cognitivo alle cose della mente – la sospensione del giudizio-. Quello che ci accade non è né un bene, né un male… è! Da qui l’accettazione con l’attivazione di possibili contromisure.
- Il karate insegna ad andare per ordine, a ritrovare la propria coesione psicosomatica, a smettere di affrettarsi non per impigrirsi, il contrario di fretta non è pigrizia, è lentezza, calma, consapevolezza che l’arrivo è una conseguenza del cammino, non lo scopo.
- Gli insegnanti del Karate sono diversi dagli altri insegnanti, perché invece di selezionare includono: “Hai un problema fisico? Uhm… vediamo come fare ad aiutarti a fare karate!”.
- L’uomo è il più intelligente degli animali perché possiede delle mani, il Karate è principalmente questo: una mano vuota, l’arte del suo uso. Questa mano non vuole trattenere, insegna a guardare senza uso degli occhi, portando a vedere le cose così come sono, senza interpretazioni, e non in modo atarassico, cioè imperturbabile, accettando l’inevitabile e accogliendo le emozioni conseguenti, cercando di non smettere di “guardare oltre”.