Il M°Kase diceva che il karate è “misteria”, è un mistero, e che bisogna avere il coraggio o la follia di entrare nel mistero e trovare se stessi.
(in KarateD n. 26 apr-mag-giu 2012)
Il M° Luciano Puricelli nasce a Gallarate (VA), il 10 luglio del 1948. Inizia la pratica del karate a Milano, nel 1970, presso la palestra del M° Shirai. Nel 1975 consegue la qualifica di istruttore di karate e nel 1982 quella di maestro. Nello stesso 1982 si laurea in lingue e letterature straniere presso l’Università Ca’ Foscari, Venezia. Dal ‘90 al ‘92 riveste la carica di Direttore Tecnico della Squadra Nazionale di Kata Fikta, conquistando numerosi titoli a livello mondiale ed europeo nelle organizzazioni Itkf, Eska ed Etkf. È Socio Fondatore della Fikta e ha ricoperto dal 1990 al 2011 le cariche di Vice-Presidente Itkf e di Segretario Generale Etkf. Nell’agosto 2010, il M° Puricelli consegue il 7°Dan. Attualmente riveste la carica di Vice-Presidente Fikta.
L’insegnamento delle arti marziali (Karate e Taiji Quan), l’intensa attività letteraria, filosofica e di politica internazionale, insieme alla conoscenza e al contatto diretto con alcuni dei più grandi Maestri di arti marziali della nostra epoca, sono solo alcuni degli aspetti che contribuiscono ad arricchire e a rendere ancora più unica la personalità del nostro protagonista: saggezza, profondità d’animo, cultura, etica e umanità sono i valori che egli stesso ci trasmette e comunica in questa intervista, attraverso parole semplici che arrivano direttamente al cuore.
Maestro Puricelli, quale professione svolge e che cosa l’ha motivata sin dall’inizio alla sua scelta professionale?
Insegno e pratico quotidianamente Karate e Taiji Quan; attualmente sto anche curando alcuni testi sulla cultura e tradizione dell’Oriente. La motivazione di fondo delle mie scelte è sempre stata legata alla necessità di poter contribuire a migliorare la qualità della vita nella nostra società attraverso la pratica e l’insegnamento del Karate e del Taiji Quan.
L’essenza del Budo sta nel principio del shin gi tai:… Solo quando Spirito e tecnica sono “Uno” (shin gi tai ichi nyo) il praticante avrà trovato il vero maestro interiore. Teoria e pratica sono solo due manifestazioni della stessa cosa.
Quando e perché ha iniziato la pratica del karate?
Alla fine degli anni ‘60, inizio ‘70, ero dipendente dell’Air France a Milano. Di giorno lavoravo e di notte studiavo per sostenere gli esami all’università. Spesso mi addormentavo sui libri e al mattino alle 6.00 avevo il treno per Milano. Avevo bisogno di recuperare le mie energie fisiche e un collega di lavoro mi ha convinto ad accompagnarlo in palestra dove c’era un maestro giapponese che insegnava karate. Così sono finito nella palestra del M° Shirai. Il primo impatto è stato un po’ insolito, c’erano delle persone che facevano delle mosse e uno che urlava come un matto: Enzo Iannacci. Mentre attendevo, una cintura bianca ha chiesto ad una cintura nera primo dan di mostrargli un kata, Heian Shodan. Cos’era? Non sapevo! Ma sono rimasto molto colpito dall’eleganza e dalla forza di quella semplice dimostrazione, e mi è piaciuto il karate.
In che modo il karate ha influenzato la sua scelta professionale (o viceversa, in quale modo la sua professione l’ha indirizzata verso il karate)?
Al termine dei miei studi il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Ca’ Foscari, Mario Baratto, mi ha prospettato e offerto la possibilità di insegnare all’Università di Venezia, contemporaneamente Bruno De Michelis mi ha chiesto se volevo prendermi carico di parte dell’insegnamento al Centro Studi Karate di Venezia. Ho riflettuto per una settimana e ho visto che ogni volta che indossavo il karategi bianco in palestra, ero come di fronte a uno specchio di me stesso, ho intuito la possibilità di trovare nell’allenamento una verità profonda e immediata e ho scelto di camminare su questa Via, mantenendo gli studi letterari e filosofici come cosa privata, personale. Oltre alla riconoscenza a Bruno, ho anche un grosso debito di riconoscenza con Arrigo Cipriani che in questo periodo mi ha molto aiutato.
M° Puricelli, che tipo di legame può vedere tra la conoscenza teorica appresa sui testi di letteratura e cultura orientale e la conoscenza pratica appresa direttamente dall’allenamento del karate?
Già alcuni secoli fa uno dei pionieri del karate, il M° Sokon Matsumura, sottolineò l’importanza di bun bun ryo do, ossia equilibrare e armonizzare l’allenamento fisico con lo studio della filosofia, coltivare cioè la propria persona, in eguale misura, attraverso la cultura e l’arte marziale.
Nel profondo, l’essenza e lo scopo del karate-do e dell’arte marziale risiedono fondamentalmente nel rispetto e nella capacità di realizzare equilibrio e armonia tra allenamento e studio dei valori che reggono e fondano la pratica (bun bun ryo do). Affermando che “la filosofia e la pratica sono ‘uno’ (bun bun ichi nyo), che “sono un tutt’uno indissolubile”, S. Matsumura definisce con chiarezza quale dev’essere il comportamento di chi pratica il budo.
L’arte marziale si fonda su alti valori etici ed è il rispetto di questi valori che permette di raggiungere un alto livello nella pratica. Senza di essi la Via decade.
Se è vero che l’essenza del Budo sta nel principio del shin gi tai:
- la mente (shin) deve tendere al più alto livello, ovvero al bene supremo dell’umanità, ed essere totalmente devota al conseguimento di questo ideale
- la tecnica (gi) è il come, il modo col quale si percorre questo cammino
- il corpo (tai) è lo strumento che permette attraverso l’allenamento e la tecnica di formare uno spirito indomito.
Solo quando Spirito e tecnica sono “Uno” (shin gi tai ichi nyo) il praticante avrà trovato il vero maestro interiore. Teoria e pratica sono solo due manifestazioni della stessa cosa.
All’inizio la pratica suscita milioni di interrogativi, ma man mano che il livello del praticante cresce il pensiero e la mente si calmano, corpo e mente si centrano, si fondono e allora sopravviene una conoscenza speciale, la conoscenza – coscienza – consapevolezza del silenzio che agisce. La letteratura, i documenti, i testi, così come un corretto programma di allenamento, possono accelerare il processo di auto miglioramento, la realizzazione, anzi, a volte la provocano, allora è il cuore del karateka che presiede e si apre. Questi concetti sono molto sintetici e richiedono l’opportuna riflessione!
A un agonista occorre innanzitutto credere in se stesso, deve attivare la capacità di “vedere” chiaramente se stesso altrimenti non sarà in grado di vedere l’avversario.
In quale occasione ha conosciuto per la prima volta il Maestro Shirai?
L’incontro con un Maestro è solo la premessa, l’opportunità che l’imponderabile ti mette a disposizione, poi devi scegliere se cogliere l’occasione. La conoscenza di un Maestro autentico è sia quel flash del primo istante in cui fisicamente lo vedi, sia qualcosa che non ha mai fine, è una sinergia che va oltre i limiti razionali del soggetto, coinvolge la sfera del Ki. Con il M° Shirai è sempre una prima volta!
Lei pratica il karate con il M° Shirai da moltissimi anni: in base al suo personale parere e alla sua oramai maturata esperienza, qual è l’insegnamento più grande che il Maestro ci ha trasmesso e ci sta trasmettendo tuttora? Può esprimere, anche brevemente, qual è il suo pensiero in proposito?
Anche qui occorre intendersi. L’insegnamento è qualcosa di molto personale, molto intimo, qualcosa che agisce in superficie e nel profondo. L’ insegnamento è un processo. Un grande Maestro trasmette allo stesso modo e con la stessa semplicità, il dettaglio, il particolare, la cosa apparentemente insignificante e il più affascinante segreto o la più efficace e difficile combinazione di tecniche. In questo senso è la grande coerenza tra quello che dice e che fa. La testimonianza quotidiana del M° Shirai ci insegna senza sosta.
Cosa significa la trasmissione di un “insegnamento autentico” del karate da Maestro ad allievo?
Posso solo sottoporre con parole e concetti approssimativi il mio livello di comprensione attuale. Per quel che riguarda la trasmissione tradizionale, schematicamente, in una prima fase il maestro propone un modello da imitare, ripetere, e si assicura che l’allievo ripeta esattamente quanto proposto. Questo continua fino al raggiungimento di un livello soddisfacente. In una fase “altra”, entra in gioco un rapporto diverso. Prendendo appoggio sulle correzioni della forma, il maestro, decisamente e in profondità, leva i blocchi di energia presenti nell’allievo. Questo scambio di energie non è unidirezionale, ha una ridondanza, avviene in misura più o meno grande sia nell’allievo sia nel maestro. L’allievo comprende e riceve col cuore, il maestro trasmette e riceve col cuore. Per essere efficace occorre naturalmente che le energie dei due siano sintonizzate. Trasmettere, cioè cambiare il flusso del Ki nella persona, senza operare imposizioni o trasferimento dei propri problemi o difetti personali, non è facile. L’allievo comunque si realizza grazie ai propri sforzi, da parte del maestro non avviene alcun ammaestramento. Questo in breve era il metodo degli antichi. (La formazione del M° Funakoshi non è stata forse quella di ripetere incessantemente tutta la notte, ogni notte, lo stesso kata davanti allo sguardo e al giudizio silenzioso del M° Itozu? Anche su questo occorre riflettere!).
… dopo una pratica rigorosa muore l’evidenza e si integra il non visibile. Il M° Kase era una porta aperta sulla profondità e sull’umanità.
Grazie alla sua conoscenza della lingua e della cultura giapponese, Lei ha avuto modo di conoscere “direttamente” il Maestro Kase: che cosa più di ogni altra vorrebbe oggi ricordare della personalità e del pensiero di questo grande Maestro?
Penso che l’onore di una frequentazione “come uno di famiglia” del M° Kase non dipendesse dai miei studi, ma da un’affinità difficilmente definibile. Mi è impossibile esprimere in poche parole la complessità e la semplicità rappresentate dal M° Kase. Lui ci ha mostrato come un Maestro vuole bene alla gente e in modo unico, suo, incitava tutti noi a cercare, esplorare, trovare, realizzare, vivere, attraverso lo studio e la pratica ci ha indicato come camminare verso il senza limiti. Da sempre ha mostrato che attraverso il karate si accede a quella che lui chiamava 4ª dimensione. Diceva che il karate è “misteria”, è un mistero, e che bisogna avere il coraggio o la follia di entrare nel mistero e trovare se stessi. Propositi e proponimenti da guerriero autentico. Un pensatore e praticante dell’estremo Oriente ha detto che dopo una pratica rigorosa muore l’evidenza e si integra il non visibile. Il M° Kase era una porta aperta sulla profondità e sull’umanità.
Lei da diversi anni riveste il ruolo di Socio Fondatore e Vice Presidente FIKTA, nonché quello di fondatore assieme al M° Shirai e altri della ETKF, di Segretario Generale ETKF e Vice Presidente ITKF (cariche, quest’ultime, da cui si è recentemente dimesso nel gennaio 2011): può illustrarci, anche brevemente, che importanza ha per Lei l’aver ricoperto e ricoprire tuttora tali cariche?
Penso che il karate mondiale sia in continua evoluzione e cambiamento, soprattutto politico-economico-organizzativo visto il numero mondiale di praticanti. Iniziative e sforzi che avevano senso negli anni ‘90 oggi richiedono un ripensamento e un diverso orientamento. Bisogna avere la forza interiore di operare scelte culturali e politiche lungimiranti e corrette, e creare spazio e opportunità per le nuove generazioni. Anche questo fa parte della pratica. Per praticare la via, il Do, quello in cui si crede, con rigore, onestà e sincerità, bisogna operare efficacemente e con successo, poi, senza pretendere nulla, senza attaccarsi e appropriarsi dei frutti del lavoro compiuto, una volta compiuta l’opera, in silenzio, ci si ritira.
M° Puricelli, Lei ha alle spalle oltre 40 anni di pratica del karate: che indicazioni si sentirebbe di dare oggi a coloro che, come Lei, praticano quest’arte marziale ormai da diversi anni?
Non ho la presunzione di poter dare indicazioni ai miei compagni e fratelli di pratica, semplicemente cerco di far bene tutte le cose quotidiane. Per me è una grande scuola!
Occorre comunque che le esperienze personali, di auto-miglioramento e realizzazione vengano in primo luogo trasmesse con efficacia ai propri allievi, favorendone al massimo la crescita, la fioritura e la loro solida realizzazione come uomini e donne autentici. Il karate della Fikta è una grande risorsa umana, che si espleta attraverso il rigore della tecnica, e che può divenire sempre più un’opportunità sociale di condivisione di valori e di stile di vita positivi dai sei anni agli ultra ottanta.
Penso che il karate mondiale sia in continua evoluzione e cambiamento, soprattutto politico-economico-organizzativo.
Lei ha conquistato diversi titoli sia europei sia mondiali e ha ricoperto la carica di Direttore Tecnico della squadra nazionale di Kata della FIKTA dal ’90 al ‘92: che cosa pensa del karate praticato a livello agonistico e che consiglio suggerirebbe ai giovani agonisti della nostra Federazione?
Ripensando al passato oggi sarei ancor più meticoloso e più esigente. L’agonista dovrebbe cercare di integrare sempre più i principi di dignità, forza, gentilezza e preparazione con le abilità di un guerriero.
Un guerriero che va in battaglia senza avere vagliato tutte le possibilità rischia sempre la sconfitta. A un agonista occorre innanzitutto credere in se stesso, deve attivare la capacità di “vedere” chiaramente se stesso altrimenti non sarà in grado di vedere l’avversario. Un agonista deve sviluppare e avere una volontà ferrea, accettare qualsiasi risultato serenamente, con la coscienza di aver fatto del proprio meglio, altrimenti penserà solo a se stesso e non a rappresentare con onore e orgoglio la federazione, il maestro, il dojo da cui proviene. Dovrebbe agire secondo il principio: “cento volte giù e cento uno su”.
C’è qualche segreto nella storia del karate?
Il segreto dell’arte sta nell’uomo, in colui che pratica e vive in modo impeccabile.
L’impeccabilità è qualcosa di radicale, di profondo che non può essere confinata nel dojo, si riflette nella rete delle occasioni della vita. Tutto è connesso come in uno specchio che riflette ciò che si trova davanti. Anche se lo specchio si rompe, in ogni frammento è riflessa la stessa qualità dell’immagine. Bisogna recuperare questa purezza in ogni frammento, sia nell’allenamento sia nella vita quotidiana.
Vorrebbe esprimere un sincero ringraziamento per qualche persona in particolare?
A tutti i miei allievi, a tutti gli amici e a tutte quelle persone che nella loro esistenza si sono fidate del mio insegnamento e delle mie azioni.