Una buona consapevolezza di ciò che accade intorno a noi ci permette di ridurre le possibilità di essere aggredite di sorpresa.
(In KarateDo n. 23 lug-ago-set 2011)
“Raddrizza le spalle! Pancia in dentro e petto in fuori!”… forse ricordiamo ancora questi ammonimenti dell’età della nonna. Nell’età ingrata dell’adolescenza qualcuna di noi ragazze cercava di nascondersi in maglioni di due taglie in più e di ingobbirsi, per difendere un seno troppo prosperoso dall’invidia delle amiche e dai tentativi di palpeggiamento dei coetanei in piena tempesta ormonale.
La postura di noi donne quando affrontiamo il mondo dice molto di noi, più di quanto, forse, crediamo.
La nostra postura quando affrontiamo il mondo dice molto di noi, più di quanto, forse, crediamo.
Ci sono donne che camminano con busto e capo eretti, a passi lunghi e sicuri sul terreno d’appoggio. Anche se sono impegnate soltanto in una passeggiata in centro, sembra che abbiano ben chiara una meta a cui giungere. Un aggressore difficilmente potrà pensare che quella donna sia vulnerabile e quindi sceglierla come vittima.
Altre donne camminano con la classica “postura da perdente”: spalle cadenti, passo lento e strascicato, oppure, come saltellando sulle punte – indipendentemente dall’altezza più o meno razionale del tacco –. Possono essere oppresse da pensieri molto bui, ma così facendo spesso si mettono in una posizione di vulnerabilità (in concomitanza, il loro livello di vigilanza per quanto accade intorno è molto basso).
Abbiamo visto in alcuni articoli altre condizioni di vulnerabilità femminile e di fragilità bio-psico-sociale.
Qui consideriamo la postura – estremizzando, da vincente o da perdente – e l’altezza irrazionale del tacco: quella camminata traballante sarà pure sexy, ma è facile rimediare una distorsione e non riuscire a mettere in atto una fuga efficace e tempestiva in caso di necessità. A meno di non usare il tacco a spillo come arma impropria…
Nessuno vieta il tacco 12 solo, per coltivare l’Auto-Difesa Femminile basta tener conto di questa vulnerabilità ulteriore e saperla, caso mai, sfruttare a nostro vantaggio.
Non tutte le persone stanno alla stessa distanza, ma talvolta siamo noi a gestire la cosa, quando scambiamo un abbraccio e talvolta no, quando uno sconosciuto ci sta troppo addosso su un mezzo pubblico troppo affollato a Milano o a Roma: stesso spazio, ma ben diverso il nostro stato d’animo.
- La distanza intima è quella che si estende fra 20 e 50 cm, dove è possibile il contatto fisico (che sia piacevole o che ci crei irrigidimento), l’abbraccio, il sentore del profumo o dell’odore dell’altra persona.
- La distanza personale (50-120 cm) è quella che conserviamo con amici, conoscenti, colleghi con cui il rapporto non sia così intimo da prevedere il contatto fisico, ma da contemplare comunque una vicinanza relazionale.
- La distanza sociale è quella che manteniamo, o vorremmo mantenere, con gli estranei.
- La distanza pubblica è quella che detiene un professore mentre fa lezione, un politico durante un comizio o un sacerdote in una celebrazione.
Il nostro territorio è un vero e proprio spazio vitale. Quando avvertiamo che una persona lo sta invadendo, ossia si sta avvicinando a una distanza che non le vogliamo concedere, il nostro istinto è quello di irrigidirci, contraendo addominali e glutei, respirando più in alto e più brevemente, distogliendo lo sguardo o fissando l’invasore come a significare “Fermati!”; se è possibile, anche allontanandoci.
In realtà, a proposito di sguardi, meglio che un’occhiataccia fulminante – troppo raffinata per essere compresa universalmente – risulta essere efficace la ferma ingiunzione di “Stop!” a chi ci sta puntando e si sta avvicinando troppo. Magari per sentirci dire che siamo delle pazze e abbiamo equivocato, il poveretto stava solo andando a prendere il giornale… tuttavia, teniamo presente che il nostro sesto senso, spiccatamente, ma non esclusivamente, femminile, ci fa percepire tutta una gamma di segnali di pericolo che hanno un significato pesante… ed è quasi infallibile.
La comunicazione non passa solo attraverso l’aspetto verbale.
Altri spazi meriterebbe l’ampio mondo della comunicazione non verbale, a volte molto chiara ed esplicita (volto le spalle a una persona che mi sta parlando oppure slaccio due bottoni della camicetta…), a volte meno, tanto che l’interlocutore non potrà dire di aver colto segnali sul mio stato d’animo al di là delle mie parole.
Quando le espressioni verbali della persona sono incongrue rispetto a quelle non verbali, ci resta un senso di disagio e confusione, come se stessimo guardando un film doppiato male, ad esempio quando una persona dice, con faccia da funerale: “Sono felice!”
Per chi volesse saperne di più, suggerisco il bel libro di Anna Guglielmi Il linguaggio segreto del corpo, Ed. Piemme.
Un comportamento che ci mette molto in pericolo e in una situazione ambigua è quello della cosiddetta “bambola cinese”: guardare il potenziale aggressore, abbassare e rialzare lo sguardo con un movimento ritmico e lento. Nella nostra intenzione forse stiamo tenendo il tipo sotto controllo, in realtà il gesto può apparire invitante e seduttivo!
Sperimentiamo due situazioni ben diverse quando ci aspettiamo o meno un attacco. Possiamo essere già mentalmente in allerta, ad esempio di sera, in un parcheggio poco illuminato, oppure sentirci sicure in ambienti noti, familiari, in compagnia di una persona fidata, uomo o donna che sia, dove il contesto non sembra presentare pericolo e quindi il livello di attivazione e di circospezione decresce molto.
Riconosciamo 4 diversi LIVELLI di attivazione e di consapevolezza di quanto ci attornia.
Il fattore sorpresa è fondamentale per la riuscita di qualsiasi tipo di aggressione.
- In condizione bianca siamo rilassate, con la testa fra le nuvole, agiamo per quanto possibile in automatico (guidare l’automobile, non essere certe di aver chiuso a chiave la porta di casa), non badiamo a quanto ci sta accadendo intorno – incluso il malintenzionato che ci sta seguendo da un quarto d’ora.
- In condizione gialla siamo rilassate, ma consapevoli dell’ambiente e concentrate su quanto stiamo facendo. È la condizione ottimale in cui ci dovremmo trovare quando siamo in luoghi affollati o di potenziale pericolo, fosse anche il parcheggio di un supermercato. A primo impatto questa condizione di perenne vigilanza può apparire stressante e faticosa, in realtà, se coltivata gradualmente, magari in associazione ad un percorso nelle Arti Marziali, diventa una condizione spontanea, come fare attenzione prima di attraversare la strada.
- In condizione arancione vi entriamo quando abbiamo colto che c’è un pericolo e reagiamo con un allarme (attivazione fisiologica, istinto di fuga). La nostra intenzione incrollabile è quella di restare lontano dai guai, ma quando ci pare che un guaio stia cercando noi, nella persona di un aggressore che si avvicina…
- La condizione rossa è quella più rara, in cui dobbiamo reagire per forza ad un attacco in corso (aggressione da parte di teppisti o malviventi, innesco di una lite, molestie da parte di un soggetto in stato di alterazione psichica) con il combattimento o con la fuga. La nostra flessibilità mentale ci permetterà di valutare la situazione e di passare velocemente da una condizione all’altra.
Se è praticamente impossibile raggiungere la condizione Rossa a partire dalla Bianca, è facile, invece, arrivarci procedendo dalla Gialla, senza troppi – e potenzialmente fatali – ritardi.
Una buona consapevolezza di ciò che accade intorno a noi (condizione Gialla) ci permetterà di ridurre drasticamente le possibilità di essere colte di sorpresa. Il fattore sorpresa è fondamentale per la riuscita di qualsiasi tipo di aggressione, ma l’avremo volto a nostro vantaggio, se un aggressore sarà restato basito e sconvolto nello scoprire che la nostra fragilità (fisica o mentale – condizione Bianca) era tutta apparente…