Il Maestro che ha fatto sue la parole di Castaneda: Per me esiste solo il cammino lungo sentieri che hanno un cuore, lungo qualsiasi sentiero che abbia un cuore.
(in Karate Do n.22 apr-mag-giu 2011)
Maestro Fugazza, dove e quando è nato?
Sono nato a Milano, il 4 novembre del 1951.
Quali studi ha fatto e che professione ha svolto prima di diventare un maestro di karate?
Dopo aver ottenuto la licenza media, ho iniziato a lavorare con mio padre nell’azienda di famiglia in cui sono rimasto fino all’età di 21 anni.
Quando e perché ha iniziato la pratica del karate?
Iniziai tra i mesi di marzo e aprile del 1968. Il mio interesse per le arti marziali nacque da un’offesa personale subita: a quell’epoca avevo sedici anni e sentivo la necessità di diventare più forte, acquisire maggior sicurezza e conoscere le tecniche di combattimento e autodifesa. Così iniziò la mia ricerca. Inizialmente mi recai al Bu-sen di Milano, allora il tempio del judo, per assistere a una lezione. Poi, ascoltando una conversazione in cui si parlava di una nuova disciplina, il karate, e di un maestro giapponese che la insegnava in via Piacenza (quel maestro era Hiroshi Shirai), immediatamente mi venne come “la pelle d’oca” e capii che poteva essere il posto giusto: avevo trovato davvero quello che stavo cercando.
Quali aspetti del karate l’hanno affascinata sin dall’inizio della sua pratica?
Mi hanno affascinato e impressionato la totale “energia”, il vigore che veniva espresso in ogni tecnica, la fiera decisione nei gesti, poi la fatica, il sudore e i kiai.
Chi è stato il suo primo maestro?
Come principiante, nei primi due mesi ho ricevuto l’insegnamento del karate dal M° Angelo Abruzzo.
Quando ha incontrato per la prima volta il M° Shirai? Può descriverci quel momento?
In realtà, più che incontrarlo, all’inizio l’ho soltanto visto. Quando andai a cercare la palestra non avevo il numero civico, così iniziai a chiedere ed entrare in ogni portone di via Piacenza. Finalmente, arrivato al numero 8, trovai all’interno di un cortile un piccolissimo dojo, con un’atmosfera molto, molto densa: in quel momento, infatti, era in corso l’allenamento della squadra nazionale in partenza per il campionato europeo di Graz e io giunsi proprio nel bel mezzo del combattimento libero. Il maestro mi vide, ma non disse nulla e così restai ad assistere all’allenamento fino alla fine. Come dicevo, l’impatto su di me fu fortissimo e folgorante: decisi subito di iscrivermi e, una settimana dopo, iniziai ad allenarmi con il M° Abruzzo, allora assistente del M° Shirai.
Il vero incontro, tuttavia, accadde circa due mesi più tardi, in occasione del primo esame di kyu cui il maestro presenziò personalmente. Ricordo che eravamo una decina di principianti e alla fine dell’esame il Maestro mi disse: «Fugazza, meritavi il 5° kyu, ma ti promuovo a 6° perché il braccio nello shuto-uke non era nella posizione corretta – e aggiunse – dalla prossima lezione vieni nel mio corso». Scoprii che il suo corso era quello delle cinture nere e lì, per non soccombere, mi ritrovai a crescere in fretta.
Può descriverci l’atmosfera e lo spirito marziale che si respiravano in palestra ai tempi in cui ha iniziato la pratica del karate con il M° Shirai?
Descrivere gli stati d’animo è sempre complicato, soprattutto quando si tratta di raccontare le emozioni legate a una pratica marziale. Ciò che posso dire è che entravo in palestra con una grande volontà di allenarmi: questo era ciò che più desideravo anche se, al tempo stesso, non sapevo mai se ne sarei uscito o come ne sarei uscito.
Indipendentemente dall’aspetto delle tecniche che, occorre ricordare, sono soltanto il mezzo e non il fine, oggi come ieri tutto quello che occorre fare è praticare, ancora e ancora, per arrivare a capire e capire significa essere capaci di fare.
Com’erano gli allenamenti di allora rispetto a oggi?
Pur essendo rimaste identiche le basi e i principi fondamentali del karate-do, il nostro modo di praticare si è raffinato e si è evoluto rispetto al passato. Indipendentemente dall’aspetto delle tecniche che, occorre ricordare, sono soltanto il mezzo e non il fine, oggi come ieri tutto quello che occorre fare è praticare, ancora e ancora, per arrivare a capire e capire significa essere capaci di fare, con uno spirito forte, con entusiasmo, impegnandosi totalmente, concentrandosi e scaricando totalmente l’energia in modo che se ne possa assorbire di fresca. Tutto questo è ciò che il Maestro ci esorta instancabilmente a fare, unendo corpo, mente e spirito in ogni gesto. E con pazienza, arriverà la Conoscenza: in questo senso che, per me, è il più importante, nulla nel karate-do è cambiato.
Quale soddisfazione interiore provava e prova tuttora, nonostante la fatica e la durezza degli allenamenti con il M° Shirai?
La soddisfazione è quella di praticare con un grande Maestro. L’allenamento con il M° Shirai è sempre un’esperienza unica, profonda e irripetibile. Ogni volta, in me succede qualcosa che mi smuove e mi arricchisce interiormente: il Maestro mi trasmette sempre nuovi stimoli e la sua capacità di farmi vedere “oltre” mi apre la mente, dandomi sempre spunti di riflessione e di approfondimento.
Nel corso della storia del karate italiano, diverse vicissitudini hanno portato alcuni allievi ad abbandonare la strada del loro Maestro. Lei è stato uno dei primi allievi del M° Shirai e oggi, insieme al nucleo originario dei suoi “storici” atleti, è ancora qui ad allenarsi con lui: che cosa l’ha motivata a perseverare nella pratica del karate e a seguire sempre la strada del suo maestro?
A questa domanda desidero rispondere con le parole di Don Juan, tratte dal libro di Carlos Castaneda: “Per me esiste solo il cammino lungo sentieri che hanno un cuore, lungo qualsiasi sentiero che abbia un cuore. Lungo questo io cammino e la sola prova che vale è attraversarlo in tutta la sua lunghezza. E qui io cammino guardando, guardando senza fiato.”
Com’è maturato ed è cresciuto nel tempo il suo rapporto con il M° Shirai?
Il mio rapporto con il Maestro è maturato e cresciuto attraverso lo sviluppo delle mie qualità interiori, in termini di totale fiducia e di altri valori fondamentali quali il rispetto, la cortesia, il coraggio, l’umiltà, l’integrità, la stima e la gratitudine.
Tutto questo è potuto accadere solo perché il Maestro ha alcuni, inevitabili, tratti caratteristici: egli ha percorso la Via, ne ha esplorato tanto la strada principale quanto i sentieri collaterali e possiede l’abilità e il desiderio di condurre lungo lo stesso cammino le generazioni successive.
C’è qualcosa di speciale nell’incontro con un vero Maestro. Il mistero di un’arte come il karate-do, per essere svelato ha bisogno di essere trasmesso con passione da una mente all’altra, da un cuore a un altro: è un rapporto di amore reciproco attraverso il quale avviene una trasmissione di conoscenza, faticosa, ma allo stesso tempo necessaria.
Quando ha scoperto la sua particolare inclinazione per il kata rispetto al kumite e a cosa è dovuta, secondo lei, questa maggiore predisposizione?
Sinceramente non l’ho scoperta, mi si è rivelata. Non posseggo le competenze per fare un profilo psicologico sulle cause. Posso soltanto dire che, da parte mia, ho sempre cercato di fare al meglio entrambe le specialità, qualche volta riuscendoci qualche altra meno, cercando in ogni caso di trovare sempre una soluzione per migliorarmi.
Quando ha iniziato le sue prime competizioni agonistiche?
La mia prima competizione fu il campionato italiano cinture marroni all’inizio del 1969. Alla fine dello stesso anno partecipai al mio primo campionato italiano e, nel 1970, al mio primo campionato europeo a Bruxelles.
Quali sono stati i risultati agonisti più importanti che ha conseguito sul piano nazionale e internazionale?
Sul piano nazionale, le vittorie più importanti sono state quelle conseguite ai campionati italiani nelle specialità di kata e kumite individuale e a squadre. A questi risultati si aggiungono poi anche quelli conseguiti in occasione della Coppa Shotokan, gara che per me ha sempre avuto un valore particolare.
In campo internazionale, vanno certamente menzionati i campionati europei di kata individuale e a squadre, gli europei di kumite a squadre e i campionati mondiali di Tokyo del 1973, dove ho vinto il 2° posto nel kata e nel kumite a squadre, oltre al 3° posto nel kata individuale. Ricordo, inoltre, i campionati mondiali di Los Angeles del 1975 in occasione dei quali ho conseguito il 2° posto nel kata individuale, il 2° posto nel kata a squadre e il 3° nel kumite a squadre. E, ancora, i mondiali di Tokyo del 1977, dove ho ottenuto il 2° posto nel kata a squadre e il 3° nel kata individuale.
Quale competizione agonistica si ricorda con maggior soddisfazione ed emozione?
Ricordo con più emozione il campionato mondiale di Tokyo nel 1973 e quello di due anni più tardi a Los Angeles. L’abbraccio del M° Shirai, dopo il secondo posto conseguito nel kata individuale al campionato mondiale di Los Angeles, è qualcosa di particolare che terrò sempre nel mio cuore.
Quando ha iniziato a dedicarsi all’insegnamento del Karate?
Nel 1972, quando il Maestro si trasferì da via Piacenza nella nuova palestra di via Bezzecca.
Il Maestro mi trasmette sempre nuovi stimoli e la sua capacità di farmi vedere “oltre” mi apre la mente, dandomi sempre spunti di riflessione e di approfondimento.
Che cosa l’ha portata a fare del karate la sua principale professione e che soddisfazione prova nell’essere un Maestro di Karate a tempo pieno?
La spinta me la diede il M° Shirai, proponendomi di stare con lui a fare solo karate. La sua richiesta mi giunse del tutto inaspettata, tanto che non dormii per una settimana. Al tempo stesso, tuttavia, sentivo un irrefrenabile desiderio di seguire questa strada. In quel momento così delicato il ruolo svolto dalla mia famiglia fu davvero fondamentale: i miei genitori non si opposero alla mia scelta e mi sostennero sempre.
Lasciai così il mio lavoro e seguii il Maestro che, per iniziare, mi affidò un corso di principianti. Conseguentemente, nel 1973 sostenni l’esame e ottenni la qualifica di istruttore. Ringrazierò e avrò sempre riconoscenza verso il M° Shirai per avermi dato fiducia, per avermi fatto scoprire quale fosse il mio talento e avermi offerto la possibilità di fare quello che più mi piaceva: praticare e insegnare il karate-do.
Che rapporto ha con i suoi allievi e che cosa più di ogni altra cerca loro di trasmettere e insegnare?
Cerco di impegnarmi per innalzare il livello tecnico dei miei allievi e loro, al tempo stesso, mi rispondono impegnandosi e restituendomi l’energia e la forza per fare ancora meglio. Attraverso la continua ricerca del perfezionamento tecnico, ha luogo uno sviluppo globale delle capacità dell’uomo. Inoltre, attraverso il karate-do tradizionale l’essere umano (l’allievo) viene dotato di mezzi grazie ai quali egli può espandere e migliorare le proprie capacità a tutti i livelli: fisico, emozionale, mentale, spirituale e di amore. È un reciproco scambio di esperienze, un processo di addestramento nel quale avviene la trasmissione della tradizione.
In occasione di alcuni suoi stage, sono rimasta molto stupita di quello che, solo in poche ore di allenamento, è riuscito a trasmettere a noi partecipanti: una conoscenza profonda del karate e uno studio del kata a 360°.
Quanto lavoro, dedizione e approfondimento continuo ci sono dietro al suo quotidiano insegnamento del karate?
Nella domanda c’è gran parte della risposta. Dedicarsi all’insegnamento implica uno studio e un approfondimento continui. Affinché avvenga una crescita, oltre alla conoscenza è indispensabile l’esperienza. La trasmissione del sapere sarebbe inutile se dalla nostra parte non ci fosse una rielaborazione critica e personale. Ciò che un uomo ha ricevuto lo deve immediatamente restituire, soltanto così potrà ricevere di più. La figura di Maestro è di fondamentale importanza, ma la riuscita è nelle nostre mani.
“Ognuno insegna meglio ciò che ha più bisogno di imparare.” (da Illusioni, di Richard Bach)
Quale carica riveste all’interno della Federazione e che cosa significa per lei rivestire tale ruolo?
Attualmente sono membro della commissione tecnica nazionale. Anche se il lavoro che svolgo è supportato per la maggior parte dal M° Contarelli, questo ruolo mi dà la possibilità di contribuire allo sviluppo e alla crescita della Federazione.
Può raccontarci un episodio o un aneddoto particolarmente significativo della sua storia di karateka?
Erano i mondiali del 1973 a Tokyo… riporto uno stralcio del resoconto di quei giorni, scritto da Luigi Zoia: “Mancavano ormai quattro giorni alle gare e un mattino trovammo alla stazione della metropolitana di Shibuya la squadra tedesca al completo che stava recandosi al mare. La cosa lasciò tutti perplessi e io sinceramente pensai che forse facevano meglio loro a riposare per essere più freschi per il ‘gran giorno’. Da quel momento il M° Shirai incominciò a stringere maledettamente i tempi: furono quattro giorni tirati dove toccammo il limite delle nostre possibilità, ci furono momenti in cui pensai veramente di non farcela più.
Ricordate, amici Capuana e Fugazza, quel tardo pomeriggio a Komazawa, quando con alle spalle già sei ore di allenamento ricominciammo dall’inizio tutti i kata? Ognuno sfuggiva lo sguardo dell’altro, inutile qualunque commento, negli occhi solo una gran rabbia, una determinazione di riuscire, avevamo già dato tutto e ci veniva chiesto di continuare a darlo, davanti a noi solo noi stessi: furono i momenti più duri. Un Maestro inflessibile, sicuro di sé, stava sbloccando psicologicamente, minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, la squadra italiana. Non ci era dato il tempo di pensare, quando veniva il momento facevamo quello che dovevamo fare. Giunse finalmente il 24 giugno. Le gare iniziarono alle nove del mattino: fu un lungo giorno, di attese, di combattimenti, di tensione nervosa che andava accumulandosi, la maggior parte di noi era a digiuno e lo rimase fino a tarda sera, al termine del campionato. Ricordo – M° Shirai – quando ci disse quel giorno: «Il leone è forte se è affamato, se mangia si addormenta!» Aveva ragione! E da leoni combatterono gli atleti italiani”.
Prima di ogni incontro il M° Shirai teneva piani di battaglia e con maestria e superbo intuito seppe prevedere il comportamento di ogni nostro avversario, indicandoci la condotta di gara da seguire. Il suo aiuto fu immenso, insostituibile. Durante il combattimento, da fuori, con la sua presenza ci guidava istante per istante. Fu così che quel giorno arrivammo secondi… Secondi ai mondiali…
Quali persone, nel suo percorso di karateka, le sono state particolarmente vicine e ora vorrebbe ricordare e ringraziare?
Tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di un sogno.