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Hishiryō: “Pensare senza pensare”

Hishiryō: “Pensare senza pensare”

Hishiryō vive e si realizza nel qui-ora, in cui passato, presente e futuro sono contemporaneamente presenza e ipotesi, atto e potenza in mutua interrelazione.

(in KarateDo n. 21 gen-feb-mar 2011)

Nel numero precedente della rivista si è introdotto il mokushō, mentre l’argomento di questo numero tratta dello hishiryō (nonpensiero), l’aspetto più difficile della teoretica zen che qui ci limitiamo a elaborare a grandi linee in quanto la sua complessità richiederebbe molto più spazio.

Hishiryō (non-pensiero), non corrisponde ad assenza di pensiero e non è l’equivalente della contrapposizione al pensiero, ma si riferisce a una dimensione o modalità di pensiero che include ambedue le opzioni di pensiero (shiryō) e non-pensiero (fushiryō) senza produrne una propria. La condizione della mente nel processo hishiryō si trova in una posizione onnicomprensiva dei diversi piani di realtà. La capacità di agire in quella condizione costituisce la formulazione di un pensiero non ordinario che coinvolge tutto l’essere nelle sue potenzialità, unite e integrate con la totalità delle cose. Si tratta di un pensiero attivo e vivente nelle cause e condizioni in assoluta a-dualità, è quindi connotato da una natura estremamente mobile, flessibile, in grado di assumere il comportamento necessario capace di inserirsi naturalmente in qualsiasi contesto per esprimere la verità del Dharma.

Hishiryō rappresenta l’aspetto dinamico che si origina dallo zazenmokushō.

Il mokushō, oggi viene praticato nella posizione che tutti conosciamo (seiza), ma originariamente avveniva a gambe incrociate e aveva una durata di tempo maggiore di quella abitualmente praticata oggi. Alcune Scuole marziali conservano il mokushō nella postura del loto (kekkafuza).

Il maestro di riferimento della nostra esplorazione in ambito zen è Eihei Dōgen che al suo rientro in Giappone nel 1227, dopo aver trascorso cinque anni in Cina alla ricerca del vero insegnamento e del vero maestro, dichiarò: “A mani vuote sono partito, a mani vuote ritorno, ho solo realizzato che il naso è verticale e gli occhi orizzontali.” [Takashi James Kodera, Dōgen’s Formative Yeras in China. An Historical Study and Annotated Translation of the Hōkyō-ki, London and Henley, Routledge & Kegan Paul, 1980, p. 77. (Traduzione mia)].

Dōgen indica in modo molto efficace la natura originale dell’essere e mostra con semplicità il cuore della realizzazione buddhista com’è interpretata dalla tradizione zen ed espressa con il termine hishiryō.

La dimensione hishiryō è lo stato dello zazen nella sua pienezza, è la modalità espressiva dello zazen realizzato, quindi, oltre ogni idea stessa di “modalità espressiva”.— Nello Zavattini

Hishiryō non va inteso come qualcosa di oggettivo che a, un certo punto della sua esperienza colui che medita possa dire di avere realizzato, ma è un processo. È quel processo in cui la dualità fondamentale, esposta didatticamente con le antitesi di pensiero (shiryō) e non-pensiero (fushiryō) trova unità e senso. Quindi, hishiryō non è una nichilistica negazione senza contenuto, ma la condizione che stabilisce l’autentica relazione tra gli opposti senza essere a sua volta opposizione o affermazione. Dalla prospettiva della dimensione hishiryō, l’assunzione di una posizione o dell’altra, sarebbe sempre troppo limitata ed egodiretta e non potrebbe cogliere la reale sostanza di quanto è in atto e rispetto alla quale non si può essere parziali.

Per esempio, se in un combattimento per la vita si scegliesse una strategia pianificata, prestabilita, potrebbe andare bene, ma anche male, a prescindere, e a seconda delle dinamiche poste in essere dai fattori in gioco. Per contro, senza un’attitudine mentale condizionata, si può fronteggiare un avversario, o qualsiasi problema si incontri, con la massima libertà ed è dentro questa libertà che può assumere forma la nostra sopravvivenza o meno o la risoluzione di un qualsiasi problema.

Vale a dire che la nostra capacità di cogliere appieno le potenzialità dell’avversario e opporgli adeguata risposta, dipende dal nostro grado di libertà da noi stessi, dai nostri propri limiti.

Nello zen si usa dire “Comprendere la dualità senza vivere dualisticamente” e uno dei suoi possibili significati è controllare l’ego e via via dissolverlo, estinguerlo, liberarsi della sua prigione, naturalmente, e sviluppare una personalità più vasta, ampia, e capace di interagire appropriatamente in qualsiasi situazione.

La dimensione hishiryō è lo stato dello zazen nella sua pienezza, è la modalità espressiva dello zazen realizzato, quindi, oltre ogni idea stessa di “modalità espressiva”, è l’aspetto dinamico neutro che permette di stabilire una relazione dialettica tra le diverse opzioni poste dalla realtà, dalla dualità, senza approdare ad alcun sostanzialismo suo proprio di qualsiasi segno possa essere.

In un libero confronto con un avversario, può tradursi in una “non scelta”, che non significa rinunciare all’agone, ma starci dentro su un piano di libertà assoluta, in quanto il nostro agire non è più contaminato e vincolato a nulla di precostituito. È su questo piano che può sorgere una vera risposta a qualsiasi stimolo esterno, quindi, è l’evoluzione del nostro essere che può stabilirci con cognizione di causa in ogni situazione senza farsi travolgere dai fattori in campo. È quindi importante risolvere la propria soggettività e lavorare costantemente sui propri limiti chiarendoci la tessitura della loro composizione (Antenati, ambiente, karma).

Hishiryō vive nella concatenazione causale e il suo piano dialettico, è sempre bene ribadirlo, non ristagna su alcuna verità prefabbricata in quanto non pertinente all’assunzione di alcuna intenzione egodiretta. Esso non afferma né nega, accetta o rifiuta, crede o non crede, né oggettiva sia implicitamente che esplicitamente; la sua trascendenza illumina la verità, la reale sostanza di qualsiasi oggettificazione, ovvero la vacuità, tuttavia, daccapo, i “contenuti” del suo agire sono solo una presenza inoggettificata senza alcuna attitudine conscia o inconscia riferita ad essi.

Un’ipotesi marziale di questo processo prefigurerebbe l’“immobilità” dei contendenti, l’imperturbabilità del loro spirito, paradigma di quiddità interiore. In questa condizione, nella quale l’essere non è vincolato ai suoi concetti e preconcetti, consci e inconsci, può vivere la pienezza della realtà in cui si trova e prodursi nel gesto autentico, vero, assoluto, puro.

Nell’educazione zen, il fattore tempo coincide in esistenza, essi sono unità e azione di hishiryō, che è una non-azione, invera la natura del tempo stesso in quanto rescissione di ogni dualismo che non si traduce tuttavia in monismo, ma in vacuità.

Nella verità zen non esistono un essere e un’idea di tempo che scorre, il soggetto (essere) e l’oggetto (idea di tempo) sono dissolti ed essere e tempo si realizzano in unità. Questo stabilisce che l’azione di hishiryō è contemporanea e reciproca alla manifestazione dei fenomeni nell’attimo del loro prodursi (“Quando ho sonno, dormo; quando ho sete, bevo” – oppure: – “Maestro, qual è la Via? Hai mangiato? Sì. Lava la ciotola”).

In una situazione di confronto con un avversario, la distanza, lo spazio e il tempo, devono trovare una precisa congruenza. La scansione del tempo nel combattimento e in ogni ambito, per essere vissuta appieno, richiede un’adesione totale al momento presente, al qui-ora che richiede tutto noi stessi senza riserve e, affinché questo possa accadere, lo spirito deve essere assolutamente libero, a-duale, concentrato.

La realizzazione del significato del “movimento” del tempo nella soteriologia zen è determinante per il risveglio spirituale, il tempo coincide in esistenza e l’esistenza è impermanente, l’impermanenza (mujō) è la verità e natura della natura-di-buddha. Nella temporalità zen è sempre il tempo presente a dominare, quindi, il totale assorbimento nel momento presente è una delle maggiori prerogative della vita ed educazione zen. La piena consapevolezza alla situazione presente è il punto di partenza per la giusta azione, inclusa quella marziale, ed è forgiata dallo doryoku (sforzo intenso, impegno), dalla pratica concentrata in cui nulla è escluso, dallo zazen.

In una situazione di confronto con un avversario, la distanza, lo spazio, il tempo, devono trovare una precisa congruenza. La scansione del tempo nel combattimento e in ogni ambito, per essere vissuta appieno, richiede un’adesione totale al momento presente, al qui-ora.”— Nello Zavattini

Hishiryō vive e si realizza nel qui-ora quale punto pivot in cui passato, presente e futuro sono contemporaneamente presenza e ipotesi, atto e potenza in mutua interrelazione. Questo qui-ora, o presente assoluto, o transpresente, inclusivo dei tre tempi (kyōryaku – “Passaggio senza passaggio” del tempo; supera l’idea di tempo lineare; pienezza del tempo; simultaneità di passato, presente, futuro. Questo molto in sintesi. È un concetto importantissimo che richiederebbe maggiore articolazione.) pone nelle nostre mani il nostro destino, l’eterna, perenne occasione di affrancamento dal proprio retaggio, qualsiasi esso sia. Vivere completamente questo attimo irripetibile è la sfida assoluta, il più pregnante “combattimento” zen.

Nella dimensione hishiryō, la più elevata condizione di esistenza umana, tutta la dottrina buddhista vi è contenuta, in essa convergono, si riassumono ed esprimono le Quattro Nobili VeritàPratītya Samutpāda, le Paramitā, l’Ottuplice Sentiero, la trascendenza, la storia, viventi nella sua azione.

Hishiryō elide ogni dualità e unità e questo costituisce il suo piano di liberazione e salvezza.

A Shaolin, nella caverna del patriarca Bodhidharma (V sec. d.C.), qualsiasi pratica, marziale inclusa, concorreva alla realizzazione di una personalità universale, cosmica, che è il senso di questa nostra rapida esistenza.


Bibliografia
Abe, Masao, Zen and Western Thought, William R. LaFleur, ed. Honolulu, University of Hawai’i Press, 1985.
Bielefeldt, Carl, Dōgen’s Manuals of Zen Meditation, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1988.
Kasulis, Thomas, Zen Action Zen Person, Honolulu, University of Hawai’i Press, 1981.
Kim, Hee-Jin, Dōgen on Meditation and Thinking: A reflection on his View of Zen, Albany, State University of New York Press, 2007.
Kodera, J. Takashi, Dōgen’s Formative Years in China. An Historical Study and Annotated Translation of the Hōkyō-ki, London and Henley, Routledge & Kegan Paul, 1980.
Waddell, Norman and Abe, Masao, trans. by, The Hearth of Dōgen’s Shōbōgenzō, Albany, State University of New York Press, 2002.
Shahar, Meir, The Shaolin Monastery, Honolulu, University of Hawai’i Press, 2008.

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