“La tecnica deve essere definitiva: solo allora essa dà valore al Karate” – Hidetaka Nishiyama.
(in KarateDo n.12 ott-nov-dic 2008)
La scomparsa, purtroppo prevista da qualche tempo, ma non per questo meno dolorosa, del M° Hidetaka Nishiyama, mi induce a una riflessione sulla portata del suo lascito spirituale nel mondo del karate.
Nato a Tokyo nel 1928, Nishiyama iniziò a praticare il kendo all’età di cinque anni e il judo a dieci. Nel 1943 fu iniziato alla pratica del karate Shotokan dal M° Funakoshi Gichin, nel suo dojo svuotato dalla partenza di tanti giovani atleti per la guerra. Nel 1943 ottenne il primo Dan e nel 1951 fu tra i fondatori della Japan Karate Association.
Stabilitosi negli Stati Uniti per diffondervi il karate, nel 1960 pubblicò il suo primo libro, Karate: The Art of Empty-Hand Fighting che a tutt’oggi, con le sue settanta riedizioni e ristampe, è il best seller nel campo dell’editoria marziale. A coronamento di una lunghissima carriera, caratterizzata dalla difesa del karate tradizionale contro le pretese egemoniche del karate sportivo, il 3 novembre 2000 Nishiyama ricevette dall’imperatore del Giappone l’Ordine del Tesoro Sacro,con una cerimonia che si tenne nel Palazzo Imperiale di Tokyo.
La sua straordinaria competenza tecnica e la sua abilità organizzativa non si sposavano con un carattere facile né accomodante, il che spiega in parte perché, almeno in Europa, il dolore e il rimpianto suscitati dalla sua scomparsa non siano paragonabili al vuoto lasciato dalla perdita, anch’essa ahimè recente, del M° Kase. Riservando la diplomazia alle decennali schermaglie con la Wuko per il riconoscimento olimpico, sul tatami Nishiyama non era certo un diplomatico e le sue critiche graffianti lasciarono più di un segno anche su atleti pluri-medagliati in campionati europei e mondiali.
Tuttavia, pur non risultando sempre simpatico a tutti, il M° Nishiyama aveva l’autorevolezza di chi aveva padroneggiato i principi fondamentali dell’arte e sapeva e voleva trasmetterli a chi avesse l’umiltà di accoglierli. In questo articolo proverò a riassumere solo i principi di natura squisitamente spirituale, divulgati nelle sue opere pubblicate e in decine di stage.
Tecnica definitiva e stabilità emotiva.
In tutte le arti marziali le tecniche definitive sono quelle mortali. Se in uno scontro il praticante di Arti Marziali non è in grado di produrre un tale tipo di tecnica, allora si espone notevolmente, poiché l’avversario diventa più aggressivo una volta colpito e lo scontro molto pericoloso, col rischio di essere battuti. Perciò, occorre sempre ricordare che la tecnica deve essere definitiva: solo allora essa dà valore all’Arte Marziale. Se il praticante è in grado di produrre un tal tipo di tecnica e quindi di distruggere l’avversario, ciò gli dà un grande vantaggio psicologico e, quindi, una maggior fiducia in sé e di conseguenza stabilità emotiva. Questa dote permette di valutare correttamente ciò che succede. Essa elimina i fattori negativi che possono inserirsi nella psiche di una persona. L’eliminazione di queste incertezze produce anche dei vantaggi a livello della salute fisica della persona.
Il karate non usa armi, quindi è più difficile trovare la tecnica definitiva. Da un punto di vista tecnico molti Maestri di karate hanno studiato e lavorato per trovare e spiegare la tecnica definitiva. Per raggiungerla occorre lavorare molto in profondità. Il karate, perciò, necessita di un alto livello tecnico.
La sua straordinaria competenza tecnica e la sua abilità organizzativa non si sposavano con un carattere facile né accomodante.
Energia totale
Dobbiamo usare l’energia totale del corpo nelle nostre tecniche. Per produrre energia abbiamo bisogno non solo della forza esterna (che si produce attraverso l’uso corretto del corpo nelle varie tecniche di karate), ma anche dell’apporto della nostra mente. Essa deve controllare completamente l’esecuzione della tecnica. Bisogna pensare a proseguire oltre il bersaglio con la propria tecnica. Un allenamento utile poi è quello d’immaginare, prima di eseguire la nostra tecnica, che essa arrivi al bersaglio (avere cioè un’immagine mentale corretta) e poi eseguirla materialmente.
Per usare l’energia interna è importante la respirazione. La sensazione dev’essere quella di premere con i muscoli addominali verso il basso. Il percorso della respirazione è circolare: parte dalla parte posteriore della zona lombare, prosegue poi nella parte anteriore dell’hara o zona addominale; indi si esercita una pressione verso il basso, con una contrazione del muscolo trasverso dell’addome, con un’azione simile a quella del torchio addominale.
A questo punto occorre unire mente e corpo: esse, insieme, devono essere in perfetto equilibrio. Se questo equilibrio manca non c’è tecnica corretta. Ha grande importanza lo sguardo: occorre continuare a “spingere” mentalmente, anche dopo aver colpito.
Anticipo mentale o irimi
Dobbiamo sentire la tecnica dell’avversario prima ancora di vederla (importanza dell’anticipo mentale o irimi). Il diagramma è sempre il seguente: sensazione-reazione-azione. L’allenamento deve portare a diminuire il tempo tra sensazione e reazione e fra reazione e azione.
I problemi riguardano, per esempio, le tensioni all’interno del corpo che possono rallentare la tecnica. Il Maestro ha fatto l’esempio di un tubo, ostruito parzialmente, dal quale passa dell’acqua. Essa fuoriesce lentamente all’inizio, ma col passare del tempo l’acqua pulisce il tubo e, finalmente, può uscire con un getto potente. Così è con l’allenamento: all’inizio il corpo si muove lentamente se non è allenato, ma col passare del tempo e con l’allenamento costante la tecnica esce potente e con naturalezza.
PRINCIPI PSICOLOGICI
Dato che il karate comporta il contatto diretto tra due o più esseri umani, i fattori psicologici giocano un ruolo importante. In molti casi la parte psicologicamente più forte vince, perfino quando è sovrastata fisicamente. Sebbene questo addestramento psicologico si verifichi naturalmente – finché diventa una seconda natura – nel corso dell’allenamento del karate, gli esempi che seguono e che esprimono antichi concetti tramandati dal passato, offrono valide prospettive di ricerca.
Mizu no kokoro (La mente come l’acqua)
Questo termine, come il seguente, era enfatizzato negli insegnamenti degli antichi maestri di karate. Entrambi si riferiscono all’atteggiamento mentale richiesto quando si fronteggia un vero avversario. Mizu no kokoro si riferisce alla necessità di creare la calma nella mente, come la superficie di uno specchio d’acqua piatto. Per approfondire ulteriormente il simbolismo, l’acqua calma riflette con precisione l’immagine di tutti gli oggetti alla sua portata e se la mente è mantenuta in questo stato la percezione dei movimenti dell’avversario, sia psicologici sia fisici, e la propria reazione, sia difensiva sia offensiva, sarà appropriata e adeguata. D’altra parte, se la superficie dell’acqua è agitata, le immagini che riflette saranno distorte o, per analogia, se la mente è preoccupata da pensieri di attacco o di difesa, non percepirà le intenzioni dell’avversario, creando così per lui un’occasione per attaccare.
Tsuki no kokoro (La mente come la luna)
Questo concetto si riferisce alla necessità di essere costantemente consapevole della totalità dell’avversario e dei suoi movimenti, proprio come la luce lunare splende con uguale intensità su ogni cosa che sia nel suo raggio d’azione. Grazie allo scrupoloso sviluppo di questo atteggiamento, la coscienza percepirà immediatamente qualsiasi apertura nelle difese dell’avversario. Delle nuvole che intercettano la luce della luna, possono essere assimilate al nervosismo o a delle distrazioni che interferiscono con la corretta percezione dei movimenti dell’avversario e rendono impossibile il trovare un’apertura e l’applicare le tecniche appropriate.
Unità di mente e volontà
Per usare un’analogia moderna, se la mente è paragonabile al microfono di un telefono, la volontà è come la corrente elettrica. Per quanto sia sensibile il microfono, se non c’è corrente elettrica, non avviene nessuna comunicazione. Allo stesso modo, anche se voi percepite correttamente i movimenti del vostro avversario e siete consapevoli di un’apertura, se manca la volontà di agire in base a questa conoscenza, non si produrrà nessuna tecnica efficace. La mente può trovare un’apertura, ma la volontà dev’essere attivata per eseguire la tecnica richiesta.
Ha grande importanza lo sguardo: occorre continuare a “spingere” mentalmente, anche dopo aver colpito.
PRINCIPI COMBINATI FISICO-PSICOLOGICI
Focalizzazione (Kime)
In breve, “focalizzazione” nel karate si riferisce alla concentrazione di tutta l’energia del corpo umano in un istante su un bersaglio specifico. Questo comprende non solo la concentrazione di forza fisica, ma anche quel tipo di concentrazione mentale descritto qui sopra. Non esiste una focalizzazione la cui durata si possa protrarre per una qualsiasi quantità di tempo misurabile. Dato che il successo nel karate dipende interamente dall’efficace concentrazione della forza corporea, il kime è estremamente importante e senza di esso il karate diventerebbe null’altro che una specie di danza.
Per analizzare ulteriormente il principio del kime, prendete ad esempio la tecnica del pugno. Nel gyakuzuki, il pugno viene lanciato direttamente dal fianco e, contemporaneamente, le anche vengono ruotate nella direzione del pugno in modo da trasmettere la forza dei fianchi e del tronco alla superficie frontale del pugno, aumentandone velocità e potenza. Naturalmente, velocità e potenza devono essere accuratamente dosate: per esempio, si deve evitare di sacrificare la velocità mettendo troppa forza nel braccio o nel corpo. Anche il principio del controllo del respiro, spiegato in precedenza, gioca un ruolo importante nella focalizzazione della forza: il respiro dovrebbe essere emesso bruscamente nel momento dell’impatto. E naturalmente ci dev’essere, in aggiunta, un atteggiamento mentale che rifletta questa concentrazione totale della forza del corpo. Mentre il pugno si avvicina al bersaglio la sua velocità aumenta fino al suo punto massimo e nel momento dell’impatto si contraggono tutti i muscoli del corpo. L’effetto di ciò è che la velocità si trasforma in potenza e la forza di tutto il corpo è concentrata nel pugno per un istante. Questo, in sintesi, è quello che significa la parola kime nel karate.
Non si dovrebbe dimenticare che questa esplosione massimale di energia è istantanea e che nell’attimo seguente viene ritirata in preparazione del prossimo movimento, vale a dire i muscoli si rilassano, si inspira e si assume una posizione appropriata per la tecnica seguente. Una tecnica di karate che non è focalizzata è inefficace ed è fatica sprecata.
La risposta (Hen-o)
Questo concetto del karate si riferisce alla corretta percezione dei movimenti dell’avversario e alla consapevole adozione delle tecniche appropriate che si adattino a essi. Entrambe le parti di questo processo vengono eseguite come un singolo atto istantaneo ed appaiono allo spettatore quasi come un’azione riflessa. È questo carattere del karate che crea nel praticante la fiducia in se stesso: egli sa che i suoi riflessi, diretti dalla mente, non devono “pensare” che cosa fare.