Dai testi del M° Funakoshi all’operato del M° Shirai: arrivare al “Principio perfetto” può diventare una realtà.
(in Karate Do n. 7 lug-ago-set 2008)
Di Bernardo Contarelli
Un sentimento che non sono mai riuscito a superare, e che anche ora a malapena riesco a controllare, è l’emozione che provo nel trovarmi tra persone di alto livello. Il Karate mi ha insegnato che la GRANDE TECNICA non si ha semplicemente nei gesti atletici o nei risultati sportivi, ma nel livello delle persone e io mi sento in questo momento tra GRANDI KARATEKA.
L’energia che percepisco è tale che devo usare tutta la forza e la concentrazione di cui sono capace per portare il mio semplice contributo alla discussione. Prima, però, vorrei ringraziare tutti voi perché date un significato reale e profondo a questo avvenimento, date forza e gratificate tutti coloro che hanno lavorato per la riuscita del Simposio.
Voglio inoltre esprimere profonda riconoscenza a tutti gli studiosi convenuti, perché rendono un grande servizio a tutto il mondo delle Arti Marziali. Grazie di cuore ai responsabili delle Istituzioni Universitarie che hanno creduto nel progetto e ne hanno resa possibile la realizzazione, alla dirigenza dell’Università di Milano e per tutti voglio menzionare la dott.sa Michela Turci, perché è da una sua intuizione che tutto ha avuto inizio, anche se in seguito, molti altri, con la loro intelligenza e professionalità, hanno contribuito e contribuiscono fattivamente al successo di queste importanti iniziative.
Ritengo inoltre importante che nel comitato d’onore sia presente sua eccellenza il Console del Giappone, ciò aggiunge prestigio all’avvenimento, ma soprattutto è un riconoscimento del grande valore del lavoro di suoi concittadini e cito per tutti il M° Hiroshi Shirai.
La riflessione che voglio fare oggi è nata da una espressione che un Grande Maestro era solito dire durante le sue indimenticabili performance educative:“La tecnica non serve”. Allo stesso tempo però pretendeva un duro lavoro di perfezionamento. Non riuscivo a capire la profondità di quell’affermazione e mi chiedevo che senso avesse continuare ad allenarsi duramente. Credo che la risposta vada ricercata nel principio e in particolare nel “Principio”, come origine e fondamento della tecnica nel Karate.
Il termine principio assume significati diversi in relazione ai vari contesti di un discorso. Ne cito alcuni:
si può intendere come “l’inizio di…”
fare qualche cosa per principio
è una persona di sani principi
il principio a cui ci si attiene
etc.
Nel Karate lo si può considerare come elemento etico – filosofico – morale, che si basa sulla ricerca dell’energia pura in funzione del miglioramento dell’uomo.
Nel Karate lo si può considerare come elemento etico – filosofico – morale, che si basa sulla ricerca dell’energia pura in funzione del miglioramento dell’uomo.
La strada per arrivare a interiorizzare un concetto, per me così difficile, è lunga, faticosa e colma di ostacoli, legati soprattutto alla dimensione egoistica di ognuno e a rischiose interpretazioni soggettive.
Il percorso si sviluppa a diversi livelli e in varie fasi:
L’aspetto esteriore è chiaramente importante, ma infido e pericoloso; ci può prendere totalmente e bloccarci per molto tempo nel cammino intrapreso. Esso ci può dare gratificazione immediata o a breve termine, portandosi via la nostra vera carica energetica.
Il gusto di sorprendere, creare scalpore o mortificare, ci fa perdere di vista il vero obiettivo della nostra pratica.
L’agonismo è un grande elemento formativo e di promozione, ma se male interpretato può diventare una barriera per il nostro miglioramento.
I ricordi sono piacevoli e pericolosi; il passato, più o meno glorioso, va considerato una tappa per assaporare il presente, ma principalmente per programmare e organizzare il futuro.
La tradizione non intesa come immobilismo, ma come elemento di curiosità – studio – ricerca, ci porta a indagare, provare, studiare esperienze di altre persone che perseguono lo stesso obiettivo.
A volte si può rimanere delusi, a volte sorpresi, a volte si ricevono conferme, ma lo scopo rimane sempre quello di capire il principio e non essere una fotocopia.
A questo proposito gli anni di pratica, pur rimanendo un criterio di qualità, non sempre ne sono garanzia. Il desiderio di sorprendere il pubblico è legittimo in un giovane agonista. Un praticante di alto livello deve mostrare la sua personalità ed essere autorevole. Non è importante la violenza con cui abbatte un avversario, ma l’energia che potenzialmente lo rende possibile.
Per approfondire l’argomento voglio prendere spunto da una notizia che ebbi in modo un poco confidenziale e, forse proprio per questo, neppure vera, ma mi serve per introdurre il ragionamento.
Un giorno, alcuni anni fa, una persona mi rivelò che il M° Funakoshi Gichin non scrisse fisicamente i suoi libri, ma li firmò dopo che altri li avevano redatti. Al momento rimasi sconcertato, perché mi sembrava un’affermazione a dir poco sacrilega, in quanto ritenevo e ritengo tuttora, che quei testi siano la base culturale del Karate, ma soprattutto credo che in essi sia descritto il principio del Karate del Maestro, da tutti noi considerato universalmente il grande innovatore.
Fino a quel momento li consideravo come delle reliquie, sia per quel che ho poc’anzi detto, sia perché amo i libri e ritengo che lo scrivere sia un’attività encomiabile.
Un praticante di alto livello deve mostrare la sua personalità ed essere autorevole. Non è importante la violenza con cui abbatte un avversario, ma l’energia che potenzialmente lo rende possibile.
Personalmente sento una punta di affettuosa invidia per coloro che scrivono con facilità, perché si deve avere dimestichezza con la tecnica, avere qualche cosa da dire e il coraggio di farlo. Ammiro gli scrittori in generale, ma rimango sconcertato di fronte a saggi, enciclopedie e articoli vari sulle arti marziali, scritti da persone con esperienza relativamente modesta.
Possono certamente e legittimamente dire le loro impressioni, ma non credo che possano rivelare qualche cosa di nuovo e che possa interessare praticanti esperti. Mi chiedo, quindi, quale possa essere la funzione di questi lavori, forse quella di divulgare. Ma i divulgatori scientifici sono persone con notevole esperienza e di grande competenza, che riescono a trasmettere concetti complessi in modo semplice e comprensibile ai non addetti ai lavori. Allo stesso tempo sono sorpreso nel vedere che persone con grande conoscenza non sono attratte dal fatto di pubblicizzare le loro esperienze.
Io credo che la risposta stia nella reale funzione che un libro assume nelle arti marziali. Esso può contenere dei grandi concetti, ma innanzitutto documenta un momento particolare di un percorso. Il libro, una volta terminato, è già superato e pur mantenendo la sua funzione di serbatoio di conoscenza, ha principalmente una funzione storica; solo chi è in possesso degli strumenti idonei riesce a farne un elemento di crescita personale.
Per questo motivo il semplice uso dei libri non basta agli allievi praticanti, ma servono gli insegnanti, i quali dovrebbero essere in possesso della chiave per la decodifica dei messaggi in essi contenuti.
L’autodidatta, inteso come colui che si arrangia, possibile in realtà diverse, si trova la strada praticamente bloccata nello studio del Karate.
Ammiro gli scrittori in generale, ma rimango sconcertato di fronte a saggi, enciclopedie e articoli vari sulle arti marziali, scritti da persone con esperienza relativamente modesta.
Il principio si può comprendere solo con un lavoro assiduo e costante, sotto la guida di un insegnante e rispettando tutti coloro che hanno lo stesso obiettivo.
Questo insegnamento lo devo, ancora una volta al mio Maestro, il quale non si stanca mai di indagare con grande attenzione il lavoro di tutti, pur mantenendo con grande coerenza la linea del proprio Maestro, nella consapevolezza di una dipendenza matura che lo porta a essere autonomo nella ricerca del principio del Karate, anche attraverso le intuizioni di altri studiosi.
Egli cerca instancabilmente di comprendere le basi sulle quali i grandi esperti hanno costruito la loro conoscenza, da sempre egli mi parla degli altri come di persone speciali senza alcuna resistenza riguardo alla provenienza o al tipo di disciplina praticata.
Ogni volta che ha un’intuizione, si convince della necessità di documentarla, ma il problema è che, appena ottenuto il risultato, egli è già proiettato oltre e, quindi, l’obiettivo appena raggiunto, diventa obsoleto.
Ecco allora la funzione degli allievi che dovrebbero diventare le sue appendici e mostrare al mondo il suo lavoro, aiutandolo nel compito di approfondimento, ma lasciando a lui la verifica e la certificazione.
Proprio in funzione di questa convinzione, ipotizzo che il M° Funakoshi abbia trovato il giusto equilibrio e il relativo aiuto di persone di alto livello per il compito di diffusione, mentre egli stesso volava alto alla ricerca di un principio che desse stabilità e futuro al Karate.
Un comportamento simile, a mio avviso, è stato tenuto anche da un altro grande Maestro, poco incline ai programmi, perché limitanti il suo modo di essere e, pur avendo lasciato molti testi in cui viene illustrata la sua tecnica, molti praticanti si trovano a fare i conti con la decodifica del messaggio, perché più attenti all’apparenza della tecnica stessa, che al suo principio.
Capire il principio è determinante per progredire, ciò significa entrare in sintonia con il maestro e comprenderne il reale linguaggio, mentre la parte atletica, pur molto importante, diventa semplice strumento per raggiungere l’obiettivo finale. Coloro che si definiscono allievi devono capire quali sono le cose veramente importanti e fare uno sforzo per permettere al Maestro di elaborare gli elementi che consentono di assimilare i concetti per dare continuità al suo insegnamento.
Per questo, credo che per il mio Maestro sia difficile fermarsi alle apparenze, sarebbe tempo rubato alla ricerca e al miglioramento personale, in quanto io sono convinto che per lui non si tratti più di perfezionare la tecnica, ma di arrivare al principio perfetto.
UN SOGNO? NO! UNA STRAORDINARIA REALTÀ.