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Capacità coordinative: coordinazione dinamica di base

Capacità coordinative: coordinazione dinamica di base

Quale tipo di coordinazione utilizziamo e come stimolarla nei piccoli praticanti.

(In KarateDo n. 9 gen-feb-mar 2008)

La coordinazione può essere considerata la capacità di eseguire correttamente, con diverse parti del corpo, nella sequenza e nei tempi adeguati, azioni motorie finalizzate. La “centrale operativa” di questa importante funzione è costituita dall’apparato nervoso che consente di ricevere informazioni, di elaborarle e di organizzarle, per permettere l’ottimale orchestrazione delle risposte volte alla risoluzione dei più diversi problemi. Dal punto di vista funzionale, considerando cioè i livelli del sistema nervoso centrale (SNC) coinvolti, è possibile distinguere 3 tipi di coordinazione:

  • La coordinazione riflessa riguarda i movimenti che il corpo esegue senza l’intervento della volontà. Si tratta, in questo caso, di risposte motorie la cui organizzazione è limitata all’interno del midollo spinale (organo assile del SNC). Un esempio di movimento riflesso è quello con cui si allontana il polpastrello di un dito della mano dopo essersi punti con uno spillo.
  • La coordinazione automatica coinvolge l’insieme dei gesti che, una volta appresi attraverso ripetizioni continue, si compiono abitualmente (automaticamente). L’intervento dei centri nervosi superiori è limitato a funzioni di controllo ed è spesso circoscritto a livello subcorticale, vale a dire a strutture situate al di sotto della corteccia cerebrale.
  • La coordinazione volontaria rappresenta la forma più complicata di coordinazione motoria. Questa si mette in pratica quando devono essere risolte situazioni complesse, inaspettate o nuove che richiedono appieno l’intervento della volontà e quindi dell’attività corticale del cervello.

La coordinazione è la capacità di eseguire correttamente azioni motorie finalizzate.

Nella pratica quotidiana del dojo possiamo dire che la coordinazione automatica riguarda l’esecuzione ripetuta di un kata molto ben conosciuto; mentre la coordinazione volontaria interviene nell’apprendimento di una nuova sequenza di forme, nello “studio” delle mosse dell’avversario durante un combattimento, o ancora nella volontà di concentrare la propria attenzione su un particolare passaggio del gesto.
Dal punto di vista energetico, cioè della fatica indotta da questi due tipi di coordinazioni, è indubbio che i movimenti automatici siano molto meno dispendiosi di quelli volontari e che possedere un elevato numero di automatismi plastici, quindi applicabili in modo proficuo, permetta di ottimizzare la prestazione. Non a caso, un atleta evoluto può resistere meglio di un principiante a un duro allenamento. Inoltre, la correttezza della forma, la fluidità del gesto, l’esatta cadenza temporale nella quale questo si svolge, consentono di protrarre la durata dell’impegno fisico.
In generale, si può affermare che la coordinazione permette di organizzare movimenti diversi, in modo che i vari distretti corporei interessati possano agire in forma autonoma e indipendente, ma armonizzandosi in modo reciproco. (Grassi & Turci, 1992; 2003)

Nei gesti sportivi, in particolare in quelli tecnicamente codificati come nel karate, l’interpretazione delle grandezze spaziali (distanza, direzione), temporali (durata, ritmo) e spazio-temporali (traiettoria, velocità) ricopre un ruolo fondamentale. La molteplicità delle esperienze permette quindi di conseguire livelli ottimali di prestazione coordinativa. Ciò dipende dal fatto che, in generale, la gestualità è strutturata a partire da movimenti fondamentali o naturali (schemi motori di base) che costituiscono le “matrici” intorno alle quali si costruiscono competenze più complesse. Quando la specializzazione di ciascuno di tali schemi raggiunge un elevato livello di raffinatezza e precisione, il soggetto ha conseguito specifiche abilità motorie.
I movimenti fondamentali sono: camminare, correre, saltare, lanciare e afferrare, strisciare e rotolare, arrampicarsi. Questi si sviluppano seguendo i vari processi di crescita, alle diverse età. Pertanto, l’obiettivo di perseguire coordinazioni specifiche in un preciso sport non può prescindere dal loro consolidamento.

Un atleta evoluto può resistere meglio di un principiante a un duro allenamento.

È auspicabile che, nell’insegnamento del karate ad allievi in tenera età, si tenga conto della necessità di affinare gli schemi di base. Infatti, è difficile immaginare un corretto apprendimento di tecniche codificate, quali una parata o un calcio, e l’esecuzione di queste in sequenze anche brevi, se il bambino non dimostra padronanza nella deambulazione, o nella presa e nel lancio. Questi ultimi due schemi rivestono un ruolo molto importante nella pratica del karate, coinvolgendo le capacità di mira e di equilibrio. La padronanza delle parti distali del corpo (appendici degli arti: mano, piede), è ancora incompleta intorno al sesto anno di vita, mentre va consolidandosi negli anni successivi, fino a raggiungere una definitiva maturazione intorno al dodicesimo anno. (Grassi & Turci, 1992; 2003)
L’insegnante deve adoperarsi nel programmare e realizzare l’attività didattica in forma dinamica e diversificata, nel tentativo di suscitare interesse, gioia al movimento e impegno per le situazioni presentate. In questo modo si favoriscono la percezione, la comprensione, la curiosità e la comunicazione. Inoltre, per ottenere un buon risultato, è importante presentare esercizi che abbiano un livello di difficoltà adeguato alle reali capacità degli allievi.

Per migliorare le capacità coordinative di base (coordinazione dinamica generale), specialmente nel contesto infantile, è opportuno (Grassi & Turci, 2003):

  • alternare esercizi di destrezza generale, con l’insegnamento di tecniche specifiche del karate;
  • introdurre la conoscenza di nuove tecniche solo quando quelle precedentemente insegnate sono assimilate;
  • considerare la pratica del karate nei più piccoli come un mezzo educativo e non come un fine tecnico da raggiungere;
  • risolvere possibili carenze a livello degli schemi motori di base (p.e.: un bambino con difficoltà di equilibrio non riesce a eseguire correttamente un calcio).

Alternare esercizi di destrezza generale, con l’insegnamento di tecniche specifiche del karate.

Durante l’avviamento motorio (riscaldamento, warm up) che precede l’inizio di una lezione, è possibile proporre circuiti che prevedono l’alternarsi delle seguenti attività:

  • corsa a diverse velocità
  • marcia eseguita su linee tracciate sul tatami
  • marcia e corsa su superfici di diversa consistenza (tatami, tappeto soffice, tappeto duro)
  • andature in appoggio sui talloni o sugli avampiedi
  • rotolamenti su tappeti o vere e proprie capovolte avanti o indietro
  • corsa ostacolata da piccoli attrezzi disposti a terra (cerchi, bacchette, coni ecc.)
  • sottopassaggio di ostacoli
  • salti in alto; salti “in basso”, partendo da appoggi sopraelevati (una panca, un plinto, una trave, uno sgabello stabile ecc.).

 

Bibliografia:
Grassi&Turci, Arte del movimento. Meravigli Editrice, Vimercate, 1992.
Grassi&Turci, L’Esame di Stato di Educazione Fisica. Modern Languages, Milano, 2003.

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