L’uomo che sfidò l’esercito giapponese in nome del Giappone.
(In KarateDo n. 6 apr-mag-giu 2007)
Di Piero Pasini
Alla metà del XIX secolo un solo paese, fra quelli che consideriamo “non occidentali”, fu investito da un rapido e autonomo processo di modernizzazione che, nell’arco di pochi decenni, ne modificò i tratti politici e sociali: il Giappone.
Fu il contatto violento e improvviso con l’Occidente ad accelerare lo sviluppo degli eventi. Nel 1853 una squadra navale statunitense incrociava al largo dell’arcipelago giapponese. Di lì a poco, nel 1858, lo shogun fu costretto ad accettare una serie di “trattati ineguali” che imponevano l’apertura dei porti nipponici al commercio occidentale. L’“apertura”, imposta con la forza, oltre a danneggiare la produzione artigianale e manifatturiera locale, coagulò un ampio fronte di opposizione nazionalista composto in gran parte dai samurai e capeggiato persino dall’imperatore. Dopo una drammatica guerra civile, lo shogun fu costretto a dimettersi e i pieni poteri furono riassunti dal giovane imperatore Mitsuhito.
La restaurazione dell’autorità imperiale diede avvio all’era Meiji (illuminata).
In realtà è proprio l’inizio dell’era illuminata che segna la fine della casta dei samurai.
In realtà è proprio l’inizio dell’era illuminata che segna la fine della casta dei samurai.
La restaurazione produsse una costituzione in 5 articoli:
- Il primo stabiliva che tutte le decisioni dovessero essere prese collegialmente;
- il secondo articolo sanciva che tutte le classi avrebbero contribuito all’amministrazione degli affari statali;
- in base al terzo principio, chiunque avrebbe potuto realizzare il proprio talento nel nuovo stato;
- il quarto richiamava ai valori del confucianesimo;
- il quinto diceva: “Si deve cercare la conoscenza in tutto il mondo in modo da rafforzare i fondamenti del governo imperiale”. Secondo alcuni proprio questo principio contrastava con le regole dei samurai, costretti in tal modo a doversi confrontare con innovazioni ed evoluzioni continue.
La modernizzazione continuò in tutti i campi, tanto più nei confronti dei samurai. La loro situazione economica peggiorò e nel 1871 fu loro imposto di non portare le due spade, simbolo più alto della loro identità. La leva obbligatoria fu l’atto di morte della casta, assieme all’esplicito divieto delle due spade. L’ultimo privilegio dei samurai veniva a cadere. Poi toccò all’estetica: cresta e codino furono aboliti.
Con la soppressione dei domini dei daymo e l’istituzione delle prefetture, i samurai persero le loro giurisdizioni e la loro utilità. Alcuni si fecero assorbire dal sistema, entrando nella polizia o nei quadri dell’esercito di leva e di carriera. Altri fondarono scuole di arti marziali.
Saigo Takamori era il comandante dell’esercito imperiale prima che fosse introdotta la leva obbligatoria. Come poté sentirsi rispetto a certe decisioni? Lui voleva impiegare i samurai in azioni bellicose e propose ai governanti di invadere la Corea: suggerì che lui stesso poteva essere tra i primi a sbarcare, facendosi uccidere per la causa del Giappone.
La proposta fu respinta con determinazione, in quanto ritenuta anacronistica. Fu proprio il principe, Iwakura Tomomi, il principale oppositore di Saigo. Questi pensò dunque di approfittare dell’assenza del principe, in missione diplomatica in Occidente, per realizzare i propri piani, ma il principe tornò in tempo per bloccarlo.
La politica estera del Giappone andava avanti a colpi di diplomazia e i samurai, seguaci e allievi di Saigo, non potevano accettarlo. Ricorsero alla spada per far valere le proprie ragioni, ma invano. Dopo varie esitazioni Saigo si decise ad appoggiarli e mirò a un preciso obiettivo: la roccaforte di Kumamoto.
Il generale Tani disponeva di 4.000 soldati per difendere quella roccaforte, gli uomini di Saigo erano 40.000, ma il 14 aprile 1877 Kumamoto fu liberata dall’assedio dei samurai grazie all’arrivo dei rinforzi. Saigo dovette riparare a Satsuma. La base di Kagoshima, lasciata incustodita, fu attaccata dalla flotta imperiale, le roccaforti dei samurai cadevano una dopo l’altra. Alla fine rimasero un centinaio di valorosi. Un vecchio amico di Saigo, Yamagata Aritomo, comandante dell’esercito governativo, lo implorò di arrendersi. Questo per Saigo era semplicemente impossibile. Alla fine trentamila soldati erano schierati davanti agli ultimi cento samurai.
Alla fine trentamila soldati erano schierati davanti agli ultimi cento samurai.
Il 24 settembre 1877, in quella che è la battaglia delle Termopili dell’Estremo oriente, i superstiti dell’armata irregolare affrontarono l’esercito sapendo perfettamente a cosa andavano incontro. Una ferita all’inguine impedì a Saigo di coadiuvare i suoi uomini. Beppu Shinusike lo trascinò via dal campo di battaglia e fu l’uomo che gli tagliò la testa dopo che lui stesso si era aperto il ventre nel seppuku. Poi Beppu andò incontro alla sua sorte combattendo. Le truppe imperiali si impadronirono della testa di Saigo e la consegnarono a Yamagata, che gli tributò gli inchini di rito. Nella cerimonia funebre tutto il valore militare e il valore d’animo del grande condottiero furono riconosciuti e il samurai entrò nella leggenda.
Con Saigo Sakamori finisce un mondo che, però, non scompare del tutto. Le arti marziali, il karate, l’aikido, lo stesso judo, indicano una traccia, la grandezza di un passato che stenterebbe a rivivere, solo per loro tramite.