“Tutto è cominciato con il karate e tutto mi ha riportato, in modo estremamente naturale, al karate.”
(in KarateDo n. 6 apr-mag-giu 2007)
Yuri Shirai nasce a Milano il 22 settembre 1974. Erano gli anni Settanta, il Karate attecchiva ormai le sue radici anche in Italia e, per la primogenita del Maestro Shirai, non c’era molta possibilità di scelta, se non quella di iniziarne subito la pratica! “Avevo solo 4 anni” – ci racconta Yuri – “e, in realtà, in palestra mi annoiavo, così ho pensato bene di smettere subito…”. Non passa molto tempo tuttavia, che la nostra protagonista comincia di nuovo a praticare. Questa volta però sotto la guida diretta del padre e insieme alla scrivente, sua sorella minore. Da quei primi allenamenti di infanzia di tanti anni fa, “vere e proprie lezioni private il cui solo ricordo” – sottolinea Yuri – “è… faticoso”, inizia così una lunga e continua strada in salita, sempre alla ricerca di nuovi ed emozionanti traguardi. Traguardi agonistici, universitari, professionali e familiari, tutti animati da un unico denominatore comune: il karate. Codice genetico? Certamente sì e l’intervista che segue lo dimostra al cento per cento!
Il fatto di andare in palestra e praticare karate è nelle radici della nostra famiglia.
Yuri, che cosa rappresentava per te l’allenamento che, da bambina, facevi con tuo padre?
L’esperienza che ho vissuto insieme a mia sorella durante quei primi allenamenti con nostro padre, è stata senza dubbio dura. Non è di certo come adesso per i miei allievi che, qualche volta, possono anche ridere e scherzare durante la lezione! Per me e mia sorella lo scherzo non è mai esistito, anche se, per fortuna, eravamo in due e così il dolore si è diviso a metà!
Che cosa hai studiato e di che cosa ti occupi?
Inizialmente avrei voluto diventare una professoressa di matematica, poi ho deciso di fare tutt’altro. Infatti, mi sono diplomata all’ISEF (Istituto Superiore di Educazione Fisica), ho conseguito successivamente la Laurea in Scienze Motorie e, non contenta, ho intrapreso un cammino universitario che mi ha portato, prima a un Dottorato di Ricerca in Scienze Morfologiche e ora a un Assegno di Ricerca presso il Dipartimento di Morfologia Umana dell’Università degli Studi di Milano.
Ti senti pienamente realizzata ora che sei anche diventata mamma di una splendida bambina?
Sono sicuramente soddisfatta: Akemi è veramente il massimo che mi poteva capitare, anche se, in realtà, ora sono nuovamente in attesa e arriverà un secondo bimbo in famiglia!
Personalmente mi sento contenta e realizzata, pur credendo che una persona non finisca mai di raggiungere i propri obiettivi, ma al contrario, cerchi sempre nuovi traguardi, sia nella sfera privata sia in quella professionale.
Che cosa ti ha sempre motivato a continuare e a perseverare nella pratica del karate?
Non ci ho mai pensato. Forse perché il fatto di andare in palestra e praticare karate è nelle radici della nostra famiglia, quindi, non ho mai dovuto chiedermi il perché, si fa e basta!
È stato con Silvio e il suo originario nucleo di atleti, i ragazzi dell’attuale Yama Karate Club, che ho iniziato a conoscere il lato divertente del karate!
Come si è sviluppato il tuo percorso tecnico e culturale di karateka?
Il percorso è stato fino a ora una strada in salita e penso che lo sarà sempre. Senza ombra di dubbio l’influenza di mio padre ha contribuito alle mie scelte iniziali, poi tutto è venuto da sé, in maniera naturale: la carriera agonistica, il corso istruttori, l’insegnamento in palestra e infine i miei studi che, se all’inizio sono stati influenzati dal karate e dalla mia generale passione per lo sport, mi hanno riportata dopo, in un secondo momento e senza che io prima potessi rendermene conto, ad approfondire il karate anche a livello universitario. Tutto, insomma, è cominciato con il karate e tutto mi ha riportato, ancora una volta, in modo estremamente naturale, al karate. È come un cerchio continuo, che non ha fine…
Quali altre persone in particolare ti sono state vicine e hanno contribuito a sviluppare e a motivare questa tua strada in continua salita?
Oltre alla forte influenza che, come ho appena detto, mio papà ha esercitato su di me e sulle mie scelte iniziali, non posso dimenticare i miei fratelli con cui, fin da bambina, ho condiviso dolori, ma anche e, soprattutto, tante gioie e momenti divertenti. Un’altra persona di fondamentale importanza nello sviluppo e nella maturazione personale del mio percorso di karateka è stato, senza dubbio, il mio compagno, Silvio Campari.
Come hai conosciuto Silvio e in che modo ha contribuito a sviluppare il tuo percorso di karateka?
Mentre io insegnavo ginnastica al Renshukan Karate Club di Milano, Silvio, contemporaneamente, teneva i corsi di karate e, un giorno, mi ha proposto di seguirlo in qualche lezione con i bambini. Da qui, in seguito, mi si è offerta la possibilità di aprire un nuovo corso di principianti. Inoltre, quando ho cominciato a interessarmi all’agonismo è stato Silvio, di fatto, a introdurmi nel corso degli agonisti e a diventare per me un importante punto di riferimento durante le gare. E, ancora una volta, è stato con Silvio e il suo originario nucleo di atleti, i ragazzi dell’attuale Yama Karate Club, che ho iniziato a conoscere il lato divertente del karate! Ogni occasione per uno stage o una gara è diventata, infatti, anche un’occasione buona per condividere tante belle esperienze: viaggiare in Italia e all’estero, mangiare tutti insieme e bere la birra dopo gli allenamenti, ridere, scherzare, rilassarsi e, in poche parole, condividere momenti di semplice amicizia!
Una gara significativa, il Campionato Mondiale di Davos del 2004, dove ho vinto la mia prima medaglia d’oro nel kata individuale.
Quali sono stati per te i più importanti risultati agonistici raggiunti?
Tra i ricordi più belli c’è la mia prima gara internazionale: i Campionati Europei svoltisi nel 1999 a Lotz, in Polonia. Ero emozionatissima, preoccupata e piena di tensione. Poi, quando io e Silvio abbiamo vinto nell’Enbu maschio-femmina, ho provato una gioia fortissima e indimenticabile!
Un’altra gara memorabile è stato il Campionato Mondiale di Bologna del 2000. Il palazzetto era gremito di pubblico, per la maggior parte italiano: tanti amici e parenti erano lì tutti per noi, atleti della nazionale, a fare il tifo come allo stadio e a trasmetterci una carica da brivido, spronandoci a dare il massimo!
Una gara decisamente significativa per l’importante risultato conseguito, è stata poi il Campionato Mondiale di Davos del 2004, dove ho vinto la mia prima medaglia d’oro nel kata individuale: questa vittoria ha significato per me il coronamento di tanti anni di sacrifici e di duri allenamenti!
Ricordo, infine, la mia ultima gara internazionale, il recente Campionato Mondiale svoltosi in Canada nel 2006, dove, con Cristina Restelli e Simona Pellegrinelli, ho vinto l’oro nel kata a squadre. Nonostante l’emozione che, comunque e senza, dubbio c’è stata, mi sono sentita un’atleta più matura e, soprattutto, parte di una squadra che “andava già di suo”: io, Cristina e Simona, infatti, abbiamo semplicemente unito le nostre forze che si equivalevano e sostenevano a vicenda.
Quali caratteristiche positive, a tuo parere, deve avere un bravo Maestro di Karate?
Un bravo Maestro sa trascinare, coinvolgere e appassionare i suoi seguaci. È una persona che sa capire il suo allievo e ciò di cui ha costantemente bisogno per migliorare e crescere, non solo a livello tecnico, ma anche e soprattutto a livello umano. Quando insegno ai miei allievi, prima di tutto, mi propongo di fare il loro bene ed è con questa motivazione che scopro sia le loro qualità, sia le loro mancanze, cercando sempre di farli mettere in discussione e di raggiungere nuovi traguardi. Inoltre, come del resto mi è stato direttamente insegnato, un bravo Maestro passa del tempo con i suoi allievi, anche al di fuori del tatami e sa coltivare con loro un buon rapporto di amicizia.
Quando insegno ai miei allievi, prima di tutto, mi propongo di fare il loro bene ed è con questa motivazione che scopro sia le loro qualità, sia le loro mancanze.
Dopo oltre venticinque anni di continua pratica e dall’alto della tua esperienza professionale e agonistica, che cosa rappresenta per te oggi il Karate?
Il Karate ha delle radici profonde nell’educazione che mi è stata data fin da bambina, l’educazione di stile giapponese che mio padre mi ha trasmesso ed insegnato, sia in palestra durante gli allenamenti, sia a casa, nella vita familiare e quotidiana: questa è la stessa educazione che oggi cerco di trasmettere a mia figlia Akemi e, nello stesso tempo, ai miei allievi in palestra. Ringrazio di ciò entrambi i miei genitori: mio papà che, fin da piccola, mi ha insegnato non solo il karate, ma un vero e autentico stile di vita, e mia mamma che, con la sua educazione tutta italiana, ha saputo ammorbidire gli spigoli della cultura giapponese. Mi sento davvero fortunata di avere radicata nella mia educazione l’essenza profonda di queste due culture e, soprattutto, di poterla trasmettere e insegnare in palestra attraverso la pratica e l’insegnamento costante del karate.