L’importanza della flessibilità nella pratica del karate.
(in Karate Do n. 1 gen-feb-mar 2006)
Molti autori collocano la mobilità articolare in una posizione intermedia fra le qualità coordinative e quelle condizionali. Conosciuta spesso anche con il nome di flessibilità, essa consiste nella capacità di eseguire gesti di notevole ampiezza. Inoltre, permette una migliore esecuzione motoria, favorendo l’apprendimento di nuove tecniche, evitando dannosi movimenti di compensazione e riducendo quindi le possibilità di infortuni.
Il sistema articolare, che unitamente a quello muscolare e scheletrico costituisce l’Apparato Locomotore, svolge una duplice e importante funzione. Infatti, se da un lato serve a rendere solidali le ossa fra loro, dall’altro rappresenta l’insieme dei cardini che permette lo spostamento dei segmenti corporei nelle varie direzioni, consentendone l’orientamento nello spazio. Pertanto è facile comprendere le differenze funzionali che intercorrono, ad esempio, fra le articolazioni delle ossa del cranio e quelle delle dita della mano. Nel primo caso, l’obiettivo principale consiste nel provvedere a un adeguato contenimento dei delicati organi contenuti nella cavità endocranica, mentre nel secondo è favorire ampie e raffinate possibilità di movimento delle dita. Inoltre, se si considera l’articolazione della spalla o quella dell’anca, si può notare come siano diverse le possibilità di movimento che ognuna di queste permette.
Molte situazioni della vita quotidiana dimostrano che la mobilità articolare è una qualità fisica importante e che deve essere tenuta in costante esercizio.
Molte situazioni della vita quotidiana dimostrano che la mobilità articolare è una qualità fisica importante e che deve essere tenuta in costante esercizio. Nello sport questa necessità è ancora più evidente, specialmente in quelle discipline dove la forma del movimento è spesso condizionata dall’ampiezza di questo. Nella danza come nel karate Tradizionale, la flessibilità riveste un ruolo importante e richiede di essere allenata con la massima attenzione, a tutti i livelli e a tutte le età.
A questo proposito, si rendono tuttavia indispensabili alcune considerazioni, la prima delle quali si riferisce alla stretta relazione che intercorre fra la mobilità articolare e l’elasticità muscolare. Infatti, il movimento dei vari segmenti scheletrici è possibile solo grazie all’azione dei muscoli, che si comportano come veri e propri motori delle ossa. È quindi facilmente comprensibile quanto l’elasticità delle strutture muscolari e la conseguente capacità di queste di allungarsi costituiscano un elemento nodale per il buon esito della prestazione. Tuttavia, è plausibile che un soggetto con una buona possibilità di allungamento muscolare, non sia in grado di esprimersi sfruttando al meglio le proprie doti in una situazione dinamica. È importante ricordare che all’esecuzione di ogni gesto concorrono contemporaneamente diversi muscoli: alcuni favoriscono il movimento (agonisti), altri invece lo inibiscono (antagonisti).
L’estensibilità del muscolo può essere sollecitata sia in modo passivo sia attivo. Nel primo caso, il movimento avviene grazie alla messa in atto di forze esterne al soggetto, come il peso del corpo o di una parte di esso, l’intervento di un compagno o di un attrezzo. La flessibilità attiva o dinamica è invece caratterizzata dalla contrazione dei muscoli antagonisti e si materializza con slanci rapidi o estensioni. Considerando, per esempio, l’esecuzione di un calcio frontale frustato (mae-geri-keage), l’ampiezza dell’escursione della coscia sul piano sagittale dipende sicuramente dall’elasticità dei muscoli flessori, contenuti nella regione posteriore di questa, ma anche dalla contrazione adeguatamente espressa dagli estensori. L’importanza di questo meccanismo è ancora più rilevante nelle tecniche di calcio spinto (kekomi), nelle quali l’efficacia della contrazione dei muscoli estensori e il conseguente allungamento dei flessori della coscia dipendono dalla durata della contrazione stessa.
È quindi consigliabile alternare, nella stessa seduta di allenamento, situazioni di allungamento passivo ad altre di tipo dinamico-attivo.
Numerosi fattori intrinseci, come l’età del soggetto e il sesso, o estrinseci, come l’ora del giorno e la temperatura dell’ambiente, possono influire sul livello di flessibilità. In ogni caso, ciò che dovrebbe preoccupare maggiormente il karateka non è tanto il risultato che può ottenere in una situazione statica, come la massima escursione articolare nella massima divaricata frontale o sagittale, quanto la capacità di trasferire in un contesto dinamico questa abilità, che può concretizzarsi ad esempio nell’esecuzione corretta e veloce di una tecnica di calcio.
Il “trucco” sta nella coordinazione del movimento, nella possibilità di contrarre adeguatamente alcuni muscoli e di rilassarne contemporaneamente altri. A poco serve sottoporsi a dolorose quanto inutili pratiche di allungamento muscolare passivo e statico, se non si esercitano uno o più distretti corporei a riprodurre la massima escursione articolare, in una situazione identica a quella richiesta dal gesto tecnico specifico della disciplina. È quindi consigliabile alternare, nella stessa seduta di allenamento, situazioni di allungamento passivo ad altre di tipo dinamico-attivo.
Inoltre, è assolutamente indispensabile rispettare le predisposizioni individuali, che possono variare notevolmente da soggetto a soggetto. Infatti, microtraumi ripetuti a livello articolare possono danneggiare notevolmente le strutture osteo-artro-legamentose, a volte anche in modo irreversibile e specialmente in articolazioni complesse come quella coxo-femorale, particolarmente sollecitata durante l’esecuzione di calci laterali o circolari (yoko-geri, mawashi-geri e ura-mawashi-geri).
I consigli del maestro o dell’istruttore sono sempre preziosi: difficilmente un buon tecnico valuterà un calcio considerandone solo l’ampiezza, e non l’efficacia; l’importante è la continua ricerca del miglioramento, il costante elogio della perfettibilità.