Può un incontro far nascere una passione? Il M° Pesce ci racconta il suo incontro speciale con il M° Nagayama.
(In Karate Do n. 2 gen-feb-mar 2006)
Alla domanda se nella vita mi ritenga fortunato rispondo di no, in quanto ho sempre dovuto lottare tanto e se traccio un bilancio economico, non è certo che possa vantare grandi fortune patrimoniali o ricchezze materiali, ma se si parla di “persone” devo invece dire che ho avuto la grande fortuna di incrociare il mio percorso con diverse persone speciali, le quali ogni volta hanno dato nuovo impulso alla mia vita. Nell’ambito del Karate in particolare, sfera prevalente, cito il M° Shirai e il M° Beppe Perlati, incontri importanti che sono tuttora punti di riferimento della mia vita.
Vorrei parlare invece di un altro incontro avvenuto ormai otto anni fa, quello con la calligrafia e il M° Nagayama.
Mi bastò la prima lezione per capire che il suo insegnamento scarno, ma molto attento, evocava, con quelle poche parole in un italiano stentato, insegnamenti che avevo già sentito dai grandi maestri di Karate.
In questi decenni di Karate, sfogliando libri del settore e di arti marziali in genere, o entrando nelle palestre, tante volte il mio sguardo è stato attratto da quei “segni” d’inchiostro incomprensibili, facendomi dire che prima o poi mi sarei lanciato anche in questo studio, ma come faccio di consueto, non cercavo, aspettavo il momento.
Il momento arrivò quando seppi che si era formato a Bologna un piccolo gruppo di interessati all’argomento e che un maestro di calligrafia cercava un luogo per insegnare qui in Emilia, per cui misi a disposizione la mia palestra e così conobbi il M° Nagayama.
Mi bastò la prima lezione per capire che il suo insegnamento scarno, ma molto attento, evocava, con quelle poche parole in un italiano stentato, insegnamenti che avevo già sentito dai grandi maestri di Karate e che il metodo d’apprendimento era il medesimo… potevo quindi affidarmi tranquillamente! Negli anni, il piacere della conoscenza più stretta ha rafforzato questa intuizione e così sono qua, soddisfatto della mia “fortuna”, a proseguire anche in questo percorso che, anziché distrarmi dal cammino principale, ha contribuito notevolmente a rafforzarlo, a vederlo anche da un’altra angolazione.
Breve presentazione del M° Nagayama
Il M° Norio Nagayama, nato a Ibaraki (Giappone) e laureato alla Daito Bunka University, è 6° dan della Nihon Kyoiku Shodo Renmei /Japan Educational Calligraphy Federation (J.E.C.F.), scuola che ha come direttore il calligrafo di corte (M° Koyama Tenshu) che è stato maestro dell’imperatrice.
In Italia ormai da quindici anni, a Vittorio Veneto, il Maestro insegna in varie città come Padova, Roma, Genova, Pisa, Milano, S. Giovanni in Persiceto (Bologna), sedi della Bokushinkai di cui è presidente È anche autore di due libri: Shodo, la via della scrittura e Shodo, lo stile libero. Ha esposto le sue opere in varie mostre sia in Italia sia in Giappone.
Il Maestro ha già collaborato con la FIKTA a Bologna, in occasione dell’iniziativa di “Bologna 2000, città della cultura”, di contorno ai mondiali ITKF, con una mostra nel Palazzo delle Belle Arti e una dimostrazione congiunta di Shodo e Karate.
La parola Shodo che viene comunemente tradotta con Arte della calligrafia, è composta da due ideogrammi Sho = scrittura e Do = via.
La parola Shodo, che viene comunemente tradotta con “arte della calligrafia”, è composta da due ideogrammi Sho = scrittura e Do = via, intesa come ricerca e comprensione della vita, ovvero: “Ricerca e comprensione della vita tramite la pratica della calligrafia”.
Lo Shodo si pone all’interno della filosofia che collega tutte le arti il cui nome termina con il suffisso do: Kendo – la via della spada; Kyudo – la via del tiro con l’arco; Karatedo – la via della mano nuda ecc.
La calligrafia è un’arte che implica un lungo apprendimento e una pratica costante; in Oriente è intimamente legata alla pittura e, anzi, ne è il fondamento. Un buon pittore è prima di tutto un buon calligrafo, dal momento che l’apprendimento delle due arti avviene parallelamente: entrambe infatti sono accomunate dai medesimi materiali e si eseguono con procedure analoghe.
Ricondurre comunque lo Shodo a un esercizio di bella scrittura, a una sorta di psicoterapia o alla pittura, com’è intesa in Occidente, sarebbe davvero riduttivo, benché quest’arte abbracci tutte queste discipline dall’alto.
Lo Shodo crea un quadro utilizzando un oggetto come la scrittura; proprio l’astrattezza di questo oggetto permette di esprimere quasi inconsciamente il proprio pensiero, le proprie emozioni, il proprio spirito e, in definitiva, se stessi.
Lo Shodo è un quadro di noi stessi, più arricchiamo la nostra interiorità, più il quadro si impreziosisce di sfumature. Dunque, per fare un bel quadro di shodo bisogna coltivare se stessi.
Questo spiega, almeno in parte, perché le calligrafie dei grandi maestri fossero considerate dei veri e propri veicoli di influenza spirituale.